La radioterapia può incrementare la sopravvivenza dei pazienti già operati per un mesotelioma pleurico. In futuro spazio anche all'immunoterapia?
Associato soprattutto all’esposizione professionale alle fibre di amianto, il mesotelioma pleurico è un tumore che fa paura per le ridotte probabilità di cura (più che per la sua diffusione). I numeri - seppur in aumento pure in Italia, in alcune aree fortemente industrializzate - sono contenuti: si parla di meno di duemila nuove diagnosi all’anno. Ma è sulla risposta terapeutica del tumore che colpisce la membrana che avvolge i polmoni (pleura) che occorre lavorare, se il tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è ancora inferiore al dieci per cento. Anche in questo caso, come accade per molti altri tumori, non esiste una risposta valida per tutti. La chirurgia - seguita dalla chemioterapia - rappresenta il primo step per le forme anche avanzate (purché non abbiano intaccato i linfonodi). L’immunoterapia costituisce la grande speranza per il futuro. Quanto al presente, invece, in un approccio combinato, è la radioterapia ad apparire come una possibile soluzione per far crescere i tassi di sopravvivenza.
LA RADIOTERAPIA NELLA CURA DEL MESOTELIOMA PLEURICO
La considerazione emerge dalle evidenze di uno studio presentato nel corso dell’ultimo congresso della Società Europea di Radioterapia Oncologica (Estro), tenutosi a Milano. Alla ricerca hanno preso parte 108 pazienti, tutti colpiti da un mesotelioma tra il 2014 e il 2018: operati e sottoposti a chemioterapia. È successivamente che ha avuto inizio la ricerca. Gli specialisti del Centro di Riferimento Oncologico (Cro) di Aviano, dove tutti i pazienti erano in cura, hanno infatti deciso di dividerli in due gruppi. Quelli del primo sono stati sottoposti a 25 sedute di radioterapia emitoracica, mirata cioè a colpire soltanto la metà del torace interessata dalla malattia. L'intensità impiegata, al pari del numero delle sedute, è stata doppia rispetto a quella riservata ai pazienti inseriti nel gruppo di controllo (dose palliativa). Osservando i primi pazienti a due anni dalla diagnosi, gli specialisti hanno registrato un tasso di sopravvivenza doppio (58 contro 28 per cento) tra coloro che erano stati arruolati nel gruppo di studio rispetto agli altri. A fronte di ciò, alcuni effetti collaterali: tra cui sicuramente la comparsa di casi di polmonite è stato il più grave.
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UN ARGINE IN PIU' ALLA MALATTIA
Lo studio è in fase di pubblicazione. Ma l’evidenza, per quanto preliminare, è incoraggiante. «L’evoluzione della radioterapia può costituire un’opportunità anche per i pazienti colpiti da un mesotelioma - afferma Marco Trovò, oncologo radioterapista del Cro e coordinatore della ricerca -. La malattia non sempre può essere asportata chirurgicamente per intero. Il nostro studio suggerisce che la radioterapia può limitare la diffusione di questo tumore e avere un impatto positivo sulla sopravvivenza del paziente». Sul piano scientifico si tratta di un piccolo passo in avanti, più sostanziale invece per i pazienti: la maggior parte dei quali raramente vive a oltre un anno dalla diagnosi.
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RADIOTERAPIA IN CENTRI SPECIALIZZATI
Poiché la chirurgia e la chemioterapia non sembrano da sole in grado di agevolare il controllo locale, che è poi uno degli aspetti che maggiormente incidono sull’esito della malattia, la radioterapia postoperatoria potrebbe avere dunque un valore significativo. Come precisato pure da Umberto Ricardi, a capo del dipartimento di oncologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e presidente dell’Estro, «il risultato è positivo, soprattutto in considerazione della prognosi spesso negativa che accompagna il mesotelioma pleurico. Ma è importante che un trattamento di questo tipo venga effettuato in centri con un’alta casistica, in grado di valutare al meglio l’opportunità e gestire gli effetti collaterali che potrebbero insorgere».
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COMBINAZIONE CON L’IMMUNOTERAPIA?
Nella cura del mesotelioma, la radioterapia è stata finora impiegata soprattutto nelle forme infiltranti, per controllare il dolore toracico. Ma migliorando l’accuratezza dell’irradiazione e la scelta dei pazienti più indicati, all’utilizzo palliativo potrebbe affiancarsi quello terapeutico. Considerando alcune evidenze emerse nell’ultimo anno e mezzo, Trovò non esclude che i benefici possano aumentare «abbinando la radioterapia all’immunoterapia, in modo da limitare la malattia e istruire il sistema immunitario per aggredirla».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).