I pazienti oncologici chiamati a operarsi non rientrano tra le persone fragili da vaccinare quanto prima. Ma se lo si facesse, calerebbe l'impatto di Covid-19
Il piano vaccinale in vigore in Italia non la prevede. Ma l’immunizzazione dei pazienti oncologici in attesa di sottoporsi a un intervento chirurgico ha un’efficacia tale al punto da poter finanche suggerire una parziale integrazione a tutela dei malati di cancro. È questo il messaggio che emerge da uno studio coordinato dall’Università di Birmingham (Regno Unito) e pubblicato sul British Journal of Surgery. Nell’attesa di entrare in sala operatoria, i pazienti in possesso di una diagnosi di tumore (indipendentemente dall’organo colpito) potrebbero trarre un duplice vantaggio, se vaccinati. In primo luogo, eviterebbero di dover rinviare l’intervento in caso di eventuale contagio (nel corso della prima ondata sono stati posticipati o annullati quasi 28 milioni di interventi, nel mondo). E, in seconda battuta, calerebbe drasticamente il rischio di trovarsi di fronte a pazienti Covid-19 più gravi.
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Tra i pazienti fragili - coloro da vaccinare prima della popolazione generale, secondo la lista del piano vaccinale redatto dal ministero della Salute, in collaborazione con le istituzioni tecnico-scientifiche: Istituto Superiore di Sanità (Iss), Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) - rientrano anche i malati di cancro. Non tutti, però. Nella circolare si parla dei «pazienti con malattia tumorale maligna in fase avanzata non in remissione, i pazienti oncologici e oncoematologici in trattamento con farmaci immunosoppressivi, mielosoppressivi o a meno di sei mesi dalla sospensione delle cure e i loro conviventi». Tutti, indipendentemente dall'organo colpito dalla malattia. Più i genitori - i tutori o gli affidatari - dei pazienti con un tumore pediatrico. Nessuna specifica, invece, per coloro che hanno interrotto le cure oncologiche, i lungosopravviventi (che hanno concluso le terapie da oltre cinque anni) e le persone con una diagnosi di cancro in attesa di intervento chirurgico. Individui che sono considerati alla stregua dei coetanei che non si sono mai ammalati di cancro. E che saranno dunque vaccinati - a meno della presenza di altre condizioni di fragilità e al netto della diversa marcia del piano su base regionale - nel periodo indicato dalla loro età.
PERCHÈ VACINARE I MALATI DI CANCRO IN ATTESA DI INTERVENTO
Una scelta che, secondo la comunità scientifica internazionale, non tutelerebbe però a fondo i malati di cancro. «La vaccinazione contro Sars-CoV-2 potrebbe prevenire migliaia di decessi postoperatori correlati a Covid-19», è il messaggio che giunge dai chirurghi di tutto il mondo: compresi gli specialisti dei 115 centri italiani coinvolti nello studio. Alla base, ci sono numeri senza precedenti. Partendo dell’esperienza reale, considerando oltre 141mila pazienti operati in più di 1.600 ospedali di 116 diversi Stati, gli specialisti hanno dato una misura alla probabilità che chi esce dalla sala operatoria corre di contrarre l’infezione da coronavirus. In media, si parla di una quota compresa tra lo 0.6 e l’1.6 per cento. «A parità di dosi somministrate, vaccinare i pazienti oncologici in attesa di un intervento può prevenire da 11 a 131 volte più decessi per Covid-19, rispetto all'immunizzazione della popolazione generale di pari fascia di età», dichiara Marco Fiore, chirurgo oncologo dell’unità di chirurgia dei sarcomi dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
BENEFICI SOPRATTUTTO PER I PAZIENTI ANZIANI
I più esposti sono soprattutto gli anziani. Ovvero coloro che più di frequente si ammalano di cancro. Un over 70 che si sottopone a un intervento per l’asportazione di un tumore - sulla base dei dati raccolti nello studio - ha un rischio di morire entro un mese dall’operazione del 2.8 per cento. Nel caso in cui nel decorso compaia anche la Covid-19, questo può aumentare fino a otto volte (18.6 per cento). «La profilassi vaccinale preoperatoria potrebbe supportare un riavvio sicuro della chirurgia elettiva, riducendo il rischio di complicanze e i decessi correlati al Covid-19 - afferma Aneel Bhangu, specialista in chirurgia colorettale dell'Università di Birmingham -. Molti Paesi, in particolare quelli a reddito medio e basso, non avranno un accesso diffuso alla vaccinazione per diversi anni. Il nostro lavoro può aiutare ad assumere le decisioni più opportune per quel che riguarda i pazienti da vaccinare prima». Prossimo passo: definire quale vaccino possa essere più adatto per i pazienti candidati a un intervento chirurgico (per un tumore, ma non solo) e quanto tempo prima dell’intervento vada effettuata la vaccinazione.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).