Gli oncologi riuniti a congresso affrontano il tema dei costi dei nuovi farmaci anticancro. Le soluzioni: istituire un fondo ad hoc, contrattare con le aziende, migliorare le diagnosi, ridurre la burocrazia e combattere la corruzione
Su un aspetto gli specialisti sono concordi. L’oncologia è a un bivio e rendere il cancro una malattia cronica con cui convivere è una opportunità concreta. Per coglierla, però, occorre trovare il giusto equilibrio tra innovazione terapeutica e accessibilità delle cure. Altrimenti il rischio di avere le armi a disposizione per cronicizzare buona parte dei tumori e non poter usarle perché troppo costose tenderebbe ad assumere i contorni della realtà. Come avere una Ferrari nel box e usarla perché la benzina costa troppo. Con la differenza che in questo caso si parla di dover eventualmente mettere in gioco la salute - nostra o di un parente - e le chance di superare un tumore.
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TERAPIE NON ANCORA PER TUTTI
L’obiettivo è estendere i successi ottenuti negli ultimi anni per la cura di diversi tumori - da quello al seno a quello alla prostata, senza trascurare i successi dell’immunoterapia che hanno fatto conquistare diversi anni di vita ai pazienti affetti da leucemia linfatica cronica e melanoma - ad altre neoplasie che presentano tassi di sopravvivenza inferiori. Ma la priorità degli specialisti, oggi che «abbiamo almeno duecento armi in più rispetto a vent’anni fa», per dirla con le parole di Richard Schilsky, a capo della Società Americana di Oncologia Clinica (Asco), è rappresentata dalla necessità di costituire un fondo speciale per sostenere le cure dei malati oncologici. «Gli strumenti per curare più persone più a lungo ci sono: ciò che rischia di venire meno sono le risorse economiche», dichiara Maurizio Tomirotti, primario del reparto di oncologia medica all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e presidente del Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo), da oggi fino a sabato riunito a Napoli per il congresso nazionale. Il nodo è rappresentato dal costo dei nuovi farmaci oncologici: eccessivo o giustificato?
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NOVITA’ NON VUOL DIRE (SEMPRE) INNOVAZIONE
Curare più persone per un arco temporale più lungo permette di guarire il venti per cento in più dei malati - 366mila le nuove diagnosi di cancro effettuate in Italia nel 2014 - ma comporta un incremento di spesa fisiologico, purché entro certi limiti. Un anno di terapie coi farmaci di ultima generazione oggi può costare al Servizio Sanitario - che soltanto per le terapie oncologiche spende quattro miliardi di euro annui - tra cinquanta e centocinquantamila euro. Cifre che negli anni a venire difficilmente saranno riviste a ribasso: anzi. La medicina di precisione sta dunque mostrando risultati incoraggianti, ma rischia di non essere alla portata di tutti. Le aziende puntano a massimizzare i profitti e si giustificano rivendicando gli investimenti sostenuti in fase di ricerca e sviluppo. In realtà, dietro alle loro richieste, si nascondono anche i massicci esborsi per le campagne di marketing che spesso incidono sul bilancio più dell’attività condotta nei laboratori. Per questo motivo «i rimborsi dovrebbero essere basati su un indice di costo-efficacia che premi in maniera trasparente la ricerca di valore - ammette Vincenzo Montesarchio, primario dell’oncologia medica dell’azienda ospedaliera dei Colli di Napoli -. Altrimenti c’è il rischio di dare risalto all’innovazione di mercato e non quella terapeutica. La valutazione di efficacia deve essere di pertinenza esclusiva degli oncologi». Serve un approccio integrato, con l’obiettivo di mettere le cure più appropriate a disposizione di tutti i malati, secondo le valutazioni compiute dagli specialisti sul singolo paziente.
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LA SVOLTA IN CINQUE MOSSE
La ricetta degli oncologi ospedalieri è chiara e nei prossimi mesi destinata ad arrivare sul tavolo del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Primo passo: l’istituzione di un fondo da destinare esclusivamente ai farmaci anticancro. Da mesi l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) propone di destinare a esso un centesimo per ogni sigaretta venduta. Tomirotti rilancia: «Ipotesi condivisibile, ma servono soluzioni strutturali». E allora, via con il secondo suggerimento: occorre che i singoli Paesi pongano paletti rigidi di fronte alle richieste di «Big Pharma». Negli Stati Uniti, dove però non c’è contrattazione e il costo dei farmaci è determinato direttamente dalle aziende, la spesa per le terapie oncologiche è quadruplicata dal 1995 a oggi, come riporta uno studio pubblicato sul Journal of Economic Perspectives. Va un po’ meglio in Italia: più 5,8 per cento negli ultimi cinque anni. Ma l’ipotesi più nefasta è questo incremento risulti più che triplicato (17 per cento) in un periodo inferiore a dieci anni. Di questo passo, dunque, il sistema rischia di franare. Da qui la necessità - ecco il passo che chiama in causa gli specialisti - di affinare la capacità di diagnosi e cura ed evitare lo spreco di farmaci, che in oncologia è comunque minimo rispetto ad altre branche mediche. Alleggerire la macchina burocratica e contrastare la corruzione in sanità sono altri interventi le cui ricadute per i pazienti potrebbero essere immediate, con un risparmio stimato in 12 miliardi di euro. E poi - tematica che riguarda soprattutto le Regioni meridionali - evitare i viaggi della speranza, se non necessari, che costringono alcune aree del Paese a erogare rimborsi ad altre Regioni (anche quando li si potrebbe evitare) e di conseguenza a dover effettuare dei tagli per far quadrare i bilanci. In questo senso, occorre estendere le reti oncologiche regionali - utili a far lavorare gli ospedali di periferia secondo gli stesi protocolli applicati nei centri di eccellenza - oltre i confini di Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Umbria. Altrimenti i pazienti, a corto di informazioni, continueranno a partire. Anche quando potrebbero curarsi a due passi da casa.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).