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Fabio Di Todaro
pubblicato il 12-01-2016

Epatite C: nuovi farmaci per tutti?



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Uno studio di farmacoeconomia traccia un modello per rendere la spesa sanitaria sostenibile per i malati di epatite C.

Epatite C: nuovi farmaci per tutti?

Epatite C, arriverà il giorno in cui sarà soltanto un ricordo, anche se adesso i medici si trovano di fronte a una scelta: su quali pazienti agire subito e su quali rimandare la terapia.

Questione di costi, che andrebbe però probabilmente rivisitata alla luce delle conclusioni di uno studio pubblicato su Global & Regional Health and Technology Assessment.

Considerando che oggi si spende un milione di euro per assistere più di ottocentomila persone - stime degli esperti, in assenza di un registro ufficiale: di fatto l’1,5% della popolazione italiana - e la possibilità di abbattere i casi di infezione in meno di vent’anni, l’obiettivo è allargare la platea degli infetti da trattare già a partire dal 2016.

Epatite C e nuovi farmaci: chi curare per primo?

 


UN FARMACO PER L'EPATITE C

Quanto all’efficacia, nessun dubbio. I nuovi farmaci per l’eradicazione dell’epatite C - attivi soprattutto contro i genotipi 1 e 4 - rappresentano uno dei successi più importanti della medicina, negli ultimi anni.

Se sui cirrotici si limitano a spegnere l'infiammazione che caratterizza la malattia, sui pazienti agli stadi iniziali riescono perfino a eliminare l'infezione virale. La percentuale di guarigione, nel complesso, si calcola intorno al 95% dei casi.

Il vero problema è rappresentato dal loro costo: poco meno di trentasettemila euro per un ciclo di terapie in Italia (320 i centri in cui è possibile sostenerla), in tutto 12 settimane.

Cifre che hanno costretto l’Agenzia Italiana per il Farmaco a prevedere la sua rimborsabilità soltanto per i pazienti più gravi: i cirrotici e coloro con un fegato in avanzato stato di fibrosi. «Ma il paziente da trattare sarebbe pure quello precoce, in grado di registrare maggiori benefici a lungo termine», afferma Antonio Gasbarrini, direttore dell’unità operativa di gastroenterologia del policlinico Gemelli di Roma.

L'opinione, condivisa da tutta la comunità scientifica, ha dovuto però fare i conti con la necessità di porre il medico di fronte a una scelta: curare subito chi è più in gravi condizioni o il paziente che potenzialmente ha davanti una maggiore prospettiva di vita?

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CURA PER L'EPATITE C?

Meno che in Portogallo, unica realtà in cui a essere trattati sono tutti i pazienti positivi al virus dell'epatite C, le logiche economiche hanno avuto il sopravvento rispetto alle esigenze mediche in tutti i Paesi.

A essere curato è chi risulta affetto dalla malattia allo stato avanzato: poco più di ventimila persone a fine agosto, il doppio - si spera - entro la fine dell'anno. «Ovvero meno di un quinto di coloro che avrebbero richiesto il trattamento», traccia un primo bilancio Massimo Andreoni, primario del reparto di malattie infettive al policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Società Italiana di Malattie Infettive. «L’obiettivo, adesso, è ampliare il target dei benefici». Ma lo si potrà fare senza mandare in default le casse del sistema sanitario? Sì, secondo le stime che emergono dalla nuova ricerca. 

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PAREGGIO ENTRO IL 2020

Vero è che nei prossimi dieci anni ci sarebbe la necessità di affrontare una spesa cospicua in ragione del numero dei pazienti, ma altrettanto concreta è la prospettiva di vederli guarire definitivamente: con un ritorno - diretto e non - stimato tra tredici e diciottomila euro per paziente trattato con i nuovi farmaci anti-epatite.

«Una quota importante del costo per paziente trattato può essere bilanciata con la riduzione della spesa legata alla maggiore efficacia dei nuovi trattamenti - dichiara Francesco Saverio Mennini, direttore della ricerca del Centro Studi Internazionali di Economia (Ceis) dell'Università Tor Vergata -. L'arrivo sul mercato di nuovi farmaci comporterà una riduzione dei prezzi. Già nel 2020 si potrebbe raggiungere un equilibrio tra la spesa terapeutica e i risparmi per le cure di questi pazienti».

Tra le altre priorità, l'individuazione di un "cocktail" in grado di debellare l'infezione causata dal genotipo 3 del virus. «Arrivare ai farmaci di terza generazione (quelli associati all'interferone fanno già parte del passato, ndr) è la prossima sfida che attende noi ricercatori - chiosa Alfredo Alberti, ordinario di gastroenterologia all'Università di Padova -. Dovremo anche trovare nuove soluzioni per i bambini e le donne incinte ed essere più veloci nel riconoscere i malati asintomatici».

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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