Prezzi alle stelle negli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna taglia il rimborso di 25 farmaci oncologici. La soluzione? Evidenze scientifiche certe e capillarità delle cure
La buona notizia è che spesso funzionano. Quella cattiva è che costano troppo. Il dibattito verte sui farmaci anti-cancro (ma anche su quelli per la cura delle malattie rare) che rischiano di diventare un beneficio accessibile soltanto ai più ricchi. Come comportarsi di fronte a un farmaco che allunga la vita soltanto di poche settimane? Quanto “vale” un intervallo di vita così breve?
Una guida per gli anziani che assumono troppi farmaci
STATI UNITI, ALLARME PER I PREZZI IN AUMENTO
Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Economic Perspectives, il costo degli antitumorali negli Stati Uniti è almeno quadruplicato dal 1995 a oggi. Un anno in più di vita può costare oltre duecentomila dollari, mentre il reddito medio delle famiglie statunitensi risulta diminuito quasi del 10%. Per spiegare gli aumenti, le aziende fanno riferimento agli alti costi di ricerca e sviluppo che, nella migliore delle ipotesi, portano un farmaco sul mercato più di dieci anni dopo l’inizio della sperimentazione. Ma i ricercatori della Mayo Clinic, dal Minnesota, replicano che i farmaci oncologici non vengono commercializzati in un regime di libero mercato. «Ogni rimedio che rappresenta lo standard di cura per una malattia è usato in combinazione con un altro già disponibile. In questo modo qualsiasi medicinale di scoperta successiva inizia a operare in un regime di monopolio protetto per molti anni da un brevetto». Il sistema funziona così, con Medicare - il programma sanitario che assicura le terapie anche ai meno abbienti - che non riesce a contrattare con le aziende a cifre più ragionevoli, in assenza di una valutazione sulla base dei reali benefici apportati. Il problema è sentito anche in Gran Bretagna, dove dal 12 marzo il sistema sanitario non rimborsa più 25 farmaci assunti (soprattutto) dalle persone con tumori della mammella, del pancreas e dell'intestino, se non già in terapia con uno di essi. Secondo alcune stime sarebbero 7.700 i pazienti che non possono più intraprendere una terapia con bevacizumab, bendamustina, dasatinib, eribulina, everolimus e pemetrexed.
MEDICINE DI PRECISIONE:
COME CI CUREREMO IN FUTURO?
ANTITUMORALI COME L’ORO
A livello globale gli antitumorali rappresentano la classe di farmaci con il più alto fatturato: pari a 91 miliardi di dollari, soltanto nel 2013, con la possibilità che arrivi a cento entro il 2020. In Europa questi farmaci costano meno che Oltreoceano, ma il problema riguarda anche l’Italia: dove però il 92% della spesa per i farmaci oncologi è coperta dal Sistema Sanitario Nazionale. Dal 2008 al 2012, stando ai dati forniti dal ministero della Salute, la spesa pro-capite per i farmaci oncologici è aumentata del 30%. In più c’è il problema dei farmaci più innovativi, dal 2012 disponibili anche senza la rimborsabilità da parte del Sistema Sanitario Nazionale. Come dire: solo chi ne ha la facoltà - Regioni e ospedali, non direttamente i pazienti - può permettersi le cure con i medicinali di più recente scoperta. «Il problema va affrontato partendo da una prospettiva che comprenda la completa realizzazione delle reti oncologiche regionali, l’immediata disponibilità delle terapie innovative in tutto il territorio, il miglioramento dei percorsi di diagnosi, terapia e assistenza», spiega Carmine Pinto, ordinario di oncologia medica all’Università di Parma e presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica.
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COME RIDURRE LA SPESA?
Alcuni risultati ottenuti con questi farmaci sono rilevanti, se si considera che oggi più del 60% delle persone guarisce da un tumore, ma anche che la sopravvivenza nella fase avanzata è migliorata in modo significativo grazie a trattamenti più efficaci. Il problema è che i casi di malattia sono destinati ad aumentare, di conseguenza occorre trovare un modo per rimborsare le cure. Quanto possiamo permetterci di pagare e per quale beneficio clinico? Per ridurre le spese - a carico dei pazienti sono anche tutti i farmaci che mirano alla preservazione della fertilità - e rendere le cure accessibili a tutti, sostengono gli esperti, basterebbero alcuni accorgimenti: come la produzione di evidenze scientifiche scevre da interessi commerciali, l’utilizzo di registri e linee guida per l’utilizzo dei farmaci e una maggiore diffusione dei generici e dei biosimilari. La domanda che occorre sempre porsi è: cosa aggiunge il nuovo farmaco rispetto alle terapie esistenti? La risposta è affidata alla ricerca indipendente.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).