Meno visite inutili, più tempo per i pazienti: il fast track digitale migliora l’esperienza di cura e alleggerisce il sistema

Anche se può sembrare scontato, i pazienti oncologici dedicano molto del loro tempo alle cure. Gli incontri con medici, gli esami di laboratorio e i test, il ritiro delle prescrizioni e i trattamenti richiedono tempo. Anche gli spostamenti da e verso ogni appuntamento, l’attesa nelle sale d’aspetto tra un incontro e l’altro e altre attività correlate incidono sul tempo complessivo che i pazienti oncologici dedicano a curarsi. Negli ultimi anni, i ricercatori in ambito oncologico hanno cercato di quantificare il livello di “tossicità temporale” (la cosiddetta time toxicity), ovvero l’impatto che il tempo dedicato alle cure ha sulla qualità di vita dei pazienti. Per la prima volta, un recente studio pilota condotto negli Stati Uniti ha dimostrato che è possibile ridurre in sicurezza il tempo che alcuni pazienti sono costretti a dedicare alle cure, grazie alle tecnologie digitali. Con un semplice sistema di messaggistica testuale, i pazienti hanno risparmiato più di un’ora per ogni visita analizzata nello studio. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Elisabetta Iannelli, Segretario Generale della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) ed ex paziente oncologica.
IL FENOMENO DELLA TIME TOXICITY
«Il fenomeno della time toxicity, seppur conosciuto, è ancora poco studiato e sul tema, attualmente, non esistono molti studi condotti in modo sistematico e scientifico» spiega Iannelli. «Tuttavia, possiamo ricondurlo a diversi fattori. Sicuramente, gli spostamenti ripetuti verso i luoghi di cura per visite, esami, terapie e controlli, anche all’interno della stessa città, e ancora di più per chi si sposta dai piccoli centri, rendono necessario affrontare costi di trasporto e tempi di viaggio elevati. Le attese nelle strutture sanitarie rappresentano un’ulteriore criticità. Inoltre, vi sono numerose procedure burocratiche che aggravano ulteriormente il problema. Ad esempio, la gestione delle esenzioni per patologia potrebbe essere resa più efficiente attraverso sistemi automatizzati e digitalizzati, eliminando per i pazienti richieste superflue e lunghe attese. In alcune regioni più virtuose, l’oncologo trasmette direttamente la documentazione necessaria all’ASL, mentre in altre si continuano ad adottare procedure macchinose, affidando alla persona malata (o al suo caregiver) un certificato oncologico cartaceo redatto dal medico specialista, che l’interessato deve consegnare di persona all’ASL competente. Un altro elemento da considerare è l’impatto della time toxicity sui caregiver. Non si tratta solo del tempo del paziente, ma anche di quello di familiari e amici che lo accompagnano e lo assistono. Inoltre, è necessario distinguere tra le varie fasi di malattia: è evidente che la percezione del tempo è diversa in un paziente in fase acuta, nella condizione di cronicità e lungo-sopravvivenza e nei pazienti che sono, invece, in fase terminale. In questo ultimo caso, è anche compito degli operatori sanitari quello di supportare il paziente e i familiari nel comprendere come affrontare con maggiore consapevolezza il tempo che resta» spiega Iannelli.
LO STUDIO: FAST TRACK IN ONCOLOGIA
Ispirati dall’efficienza delle corsia preferenziali di fast tracking usate negli aeroporti, gli autori di un recente studio americano hanno sviluppato una piattaforma basata su messaggi di testo, che raccoglie i sintomi riferiti dai pazienti e verifica se siano idonei a ricevere le loro terapia oncologica, nel caso specifico l’immunoterapia. Normalmente, i pazienti in trattamento immunoterapico devono sottoporsi a esami del sangue e incontrare il proprio team medico prima di ogni infusione, per escludere la presenza di sintomi che potrebbero segnalare una reazione avversa e richiedere la sospensione della terapia. Sebbene sia una misura di sicurezza necessaria, la maggior parte dei pazienti supera questa valutazione senza problemi, poiché l’immunoterapia ha un tasso di effetti collaterali inferiore rispetto alla chemioterapia tradizionale. Nel trial clinico pilota, i pazienti coinvolti, in trattamento con immunoterapia per tumori solidi, sono stati randomizzati in due gruppi: uno sottoposto alla consueta valutazione dei sintomi in presenza e l’altro a un controllo dei sintomi tramite un questionario di 16 domande, compilabile in meno di cinque minuti via messaggio di testo. Se gli esami del sangue risultavano normali e non venivano segnalati sintomi, i pazienti potevano accedere a un percorso rapido e saltare la visita in presenza, procedendo direttamente con l’infusione. I 16 pazienti che hanno usufruito del fast-track hanno risparmiato oltre 60 minuti per visita, inclusi 30 minuti di attesa in meno, rispetto ai 15 pazienti assegnati alla procedura standard.
Ancora più importante, il sistema fast-track si è dimostrato sicuro: non sono emerse differenze nei ricoveri post-infusione né nell’impatto sulla qualità della vita rispetto alla modalità tradizionale. «L’idea di introdurre un sistema di fast track, simile a quello aeroportuale, come opzione per i pazienti è molto interessante. Questo consente di ridurre il tempo di permanenza in ospedale nei casi in cui una visita medica non sia strettamente necessaria, ad esempio quando i controlli si basano solo su esami di laboratorio e non ci sono effetti collaterali da gestire. Questa soluzione permetterebbe di ridurre il carico di lavoro per gli oncologi e il sistema sanitario, senza rinunciare alla possibilità di un incontro diretto con il medico quando necessario o quando preferito e richiesto dal paziente» commenta Iannelli.
MISURARE E INTEGRARE LA TIME TOXICITY
«In ambito ospedaliero e clinico esistono buone pratiche che contribuiscono a ridurre il problema della time toxicity. Il principale limite è che queste iniziative non sono state integrate in un sistema strutturato né analizzate con metodologie rigorose per produrre evidenze scientifiche. Si tratta, per lo più, di esperienze isolate. Uno strumento utile in questo contesto potrebbe essere rappresentato dall’inclusione di valori quantificabili negli studi clinici, come i cosiddetti Patient Reported Outcomes (PROs, esiti riportati dai pazienti) ed i Patient-Reported Experience Measures (PREMs, esperienza dei pazienti durante il percorso di cura, misurano la soddisfazione dei pazienti e permettono di identificare aree di miglioramento nei servizi sanitari). Se adeguatamente strutturati e analizzati, i PROs e i PREMs permetterebbero di trasformare una percezione soggettiva in una misurazione oggettiva, utile sia negli studi clinici che nella pratica quotidiana per valutare la qualità della vita dei pazienti e monitorare eventuali miglioramenti. Un altro passo significativo sarebbe considerare la time toxicity in ambito regolatorio. Ad esempio, la modalità di somministrazione di un farmaco (endovenosa, sottocutanea o orale) incide concretamente sul tempo che i pazienti devono dedicare alle cure. Questo aspetto potrebbe essere incluso nelle valutazioni delle tecnologie sanitarie (Health Technology Assessment, HTA), dato che le sue implicazioni non sono solo etiche e sociali, ma anche economiche. Collegare questi elementi tra loro potrebbe migliorare la qualità della vita dei pazienti, rendendo più efficienti ed efficaci i servizi sanitari, e consentire una migliore allocazione delle risorse con potenziali risparmi per il sistema sanitario» spiega Iannelli.
SOLUZIONI CONCRETE PER I PAZIENTI
Ma quali potrebbero essere, invece, le soluzioni pratiche per migliorare i tempi che i pazienti oncologici dedicano alle cure? «Un possibile approccio per ridurre la time toxicity sarebbe avvicinare le cure ai pazienti, garantendo sempre la giusta sicurezza. Le case di comunità, spesso sottoutilizzate, potrebbero fungere da strutture più vicine al domicilio del paziente, riducendo i tempi di spostamento e migliorando la qualità della vita. Un altro elemento chiave è una migliore pianificazione dell’assistenza sanitaria: concentrare più prestazioni nella stessa giornata e nello stesso luogo ridurrebbe il numero di accessi, limitando il tempo perso dai pazienti. Anche l’utilizzo della tecnologia, con strumenti di calendarizzazione digitale, potrebbe facilitare questa organizzazione. Per quanto riguarda le terapie, la somministrazione sottocutanea o per via orale di un farmaco, rispetto a una lenta infusione endovenosa, rappresenta un indubbio vantaggio in termini di tempo per il paziente e per l’organizzazione sanitaria. Infine, non va dimenticato il ruolo del caregiver, che spesso tende a trascurare la propria salute mentre si occupa del proprio caro. Una possibile soluzione pragmatica sarebbe creare un percorso preferenziale per permettere ai caregiver di accedere più facilmente a esami e visite di controllo, evitando che rinuncino alla propria salute a causa del carico assistenziale» spiega Iannelli.
COINVOLGERE I PAZIENTI
L’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale e delle diverse forme di telemedicina, come il teleconsulto o il monitoraggio da remoto, può essere estremamente utile. Tuttavia, affinché queste soluzioni siano davvero efficaci, devono essere progettate e implementate con il coinvolgimento diretto dei pazienti e essere al loro servizio: «Le associazioni di pazienti, spesso guidate da ex pazienti o da pazienti oncologici, dovrebbero avere un ruolo attivo nella progettazione e nella supervisione di questi strumenti. Il rischio, altrimenti, è che vengano sviluppati anche con la massima competenza e buona fede, ma senza tener conto delle reali esigenze di chi ne farà uso. È essenziale ascoltare il punto di vista dei pazienti, sia nella fase iniziale di progettazione che successivamente, attraverso il test dello strumento e la raccolta delle loro opinioni tramite focus group dedicati. Il loro coinvolgimento diretto, o quello dei rappresentanti delle associazioni, è essenziale per garantire che lo strumento sia davvero efficace e risponda a bisogni reali. Senza questo apporto, il rischio è che non funzioni come dovrebbe». In sintesi, ridurre la time toxicity significa migliorare la qualità della vita dei pazienti e ottimizzare l’uso delle risorse sanitarie. Interventi mirati, come l’uso di tecnologie digitali, il miglioramento dell’organizzazione delle cure e la semplificazione delle procedure burocratiche, potrebbero fare la differenza sia per i pazienti che per l’intero sistema sanitario. «Il tempo recuperato e restituito ai pazienti è parte della cura» conclude Iannelli.