Nella giornata mondiale dedicata all'ictus, è alta l'attenzione nei confronti delle diagnosi fra i giovani. I tempi di intervento e la scelta dell'ospedale fanno la differenza
Fa meno morti rispetto al passato: questo è innegabile. Ma, per dirla con le parole di Jon Barrick, presidente dell'Alleanza europea contro l'ictus cerebrale, «continuamo a essere di fronte una catastrofe umanitaria». Il perché è presto spiegato. «Più persone sopravvivono all'ictus, maggiore è la frequenza di disabilità da affrontare»: e in Italia sono ormai più di 930mila le persone che convivono con i postumi invalidanti della malattia, con vari livelli di complessità. Ben venga dunque ogni vita in più salvata, ma il peso della malattia è destinato ad aumentare, considerando anche l'invecchiamento generale della popolazione. Eppure, in vista della giornata mondiale in programma domenica 29 ottobre, a far riflettere è la casistica riguardante i giovani adulti.
Quando l'aspirina è d'aiuto dopo un ictus cerebrale
DROGHE E ICTUS TRA I GIOVANI
L’ictus cerebrale è una malattia correlata all’età. Ma in Italia, stando ai dati diffusi dall'Associazione per la lotta all'ictus cerebrale (A.L.I.Ce onlus), sono all'incirca 4600 le diagnosi che si registrano tra gli under 45. «Si rileva un sensibile aumento di casi nelle fasce più giovani d’età: abbiamo circa il doppio di nuovi casi di ictus giovanile rispetto ai nuovi casi di sclerosi multipla e un numero di ictus all’incirca eguale rispetto ai casi di epilessia, nei soggetti della stessa fascia d’età - spiega Carlo Gandolfo, responsabile del team interventistico endovascolare dell'ospedale pediatrico Gaslini di Genova -. Questo sensibile aumento di casi è da attribuire in gran parte alla maggior diffusione di alcol e droghe, di cui è nota la capacità di determinare l’insorgenza di ictus o di aumentarne il rischio. L’insorgenza di ictus nei giovani adulti si associa a una tasso maggiore di mortalità e a un aumento di disabilità permanente, che risulta più grave anche in ragione della più lunga aspettativa di vita». Per l'alcol, il rischio aumenta in proporzione alla quantità assunta. Il tabacco - anche in questo caso la relazione fra fumo e ictus è proporzionale ai consumi - è noto come un potente fattore di rischio in quanto favorisce l'insorgenza dell'aterosclerosi fin dalla giovane età. Molti lavori scientifici comprovano la relazione tra ictus ischemico e cannabis, pur non potendo escludere del tutto il ruolo del fumo di tabacco e dell’alcol, fattori di rischio spesso compresenti negli assuntori di marijuana a scopo ricreativo. Quanto alla cocaina, la correlazione è certa: con un rischio più alto per chi la fuma (crack) rispetto all'inalazione. A fare la differenza è il forte aumento della pressione sanguigna che si innesca in seguito al consumo, suo e delle droghe a base di metanfetamine (ecstasy).
ICTUS CEREBRALE: FARE PREVENZIONE
E' POSSIBILE
AFFIDARSI A CENTRI SPECIALIZZATI SALVA LA VITA
Sono all'incirca duecentomila gli italiani che ogni anno vengono colpiti da un ictus cerebrale. La prevalenza è più alta tra le donne, anche a causa di fattori ormonali che si accentuano dopo la menopausa. Determinante, ai fini del buon esito della gestione dell'episodio acuto, è il riconoscimento precoce dei sintomi.
E, a seguire, l'affidamento alla struttura ospedaliera più adatta. «Il trattamento tempestivo in una di queste unità specializzate riduce in maniera significativa la mortalità, la disabilità e la necessità di riabilitazione - afferma Valeria Caso, neurologa all’ospedale della Misericordia di Perugia e presidente dell'Organizzazione europea contro l'ictus -. La terapia farmacologica, in grado di sciogliere il trombo responsabile del mancato afflusso di sangue a un'area del cervello, deve essere somministrata entro quattro ore e mezza dall’inizio dei sintomi ed è necessaria quando l’ostruzione interessa vasi piccoli o medi. Quando a essere interessati sono invece quelli di grandi dimensioni, invece, la sua efficacia risulta limitata».
QUANDO SERVE LA CHIRURGIA
Quando l'ictus riguarda un vaso di gradi dimensioni, l'opzione più efficace è rappresentata dalla chirurgia endovascolare. Si parla di trombectomia meccanica per descrivere la tecnica che prevede l’inserimento di uno stent attraverso l'inguine che, guidato dalla radiografia, viene portato a livello dell’arteria cerebrale occlusa, rimuove l'ostacolo e ristabilisce così l'afflusso di sangue. Oltre che clinicamente efficace, il trattamento è anche sostenibile sul piano economico. Eppure in Italia risulta operato soltanto il dieci per cento dei pazienti candidabili alla procedura chirurgica (poco più di mille interventi annui). La penuria è legata alle lacune che presenta ancora il sistema di assistenza - cosiddetto «hub and spoke» - che dovrebbe portare i pazienti colpiti da ictus a essere presi in carico da una stroke unit nel minore tempo possibile. «Prevedere centri specializzati in ogni ospedale non è possibile, ma la distanza massima di ogni località da un ospedale in grado di gestire l'ictus cerebrale dovrebbe essere percorribile su gomma entro un'ora - dichiara Carlo Agostoni, direttore della struttura complessa di neurologia e stroke unit dell'ospedale Niguarda di Milano -. Oltre questo intervallo di tempo, il paziente dovrebbe essere trasportato in elicottero. Ma questo non sempre avviene, purtroppo».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).