Uno studio evidenzia alte concentrazioni cerebrali nelle persone con demenza ma gli effetti sulla salute restano incerti

Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha rivelato una presenza rilevante di microplastiche nel cervello, corrispondente alla quantità di plastica che potrebbe essere contenuta in un cucchiaino. I livelli di microplastiche osservati erano, inoltre, da 3 a 5 volte più alti negli individui con una diagnosi documentata di demenza. Rispetto agli altri organi analizzati, come il fegato o i reni, i tessuti cerebrali mostrano concentrazioni di MNP da 7 a 30 volte superiori. L’aumento delle concentrazioni globali di microplastiche e nanoplastiche ambientali (MNP) solleva preoccupazioni riguardo l’esposizione umana e gli effetti sulla salute, ma cosa sappiamo finora?
MICROPLASTICHE NEL CORPO UMANO: ANCORA TANTI DUBBI
Diversi studi hanno confermato la presenza di microplastiche in molti organi del corpo umano, dal rene al fegato, al cervello, fino addirittura alla placenta e allo sperma. Le MNP presenti in questi organi sono costituite principalmente da polietilene, con concentrazioni minori ma significative di altri polimeri. Le concentrazioni ambientali di microplastiche e nanoplastiche di origine antropica, di dimensioni comprese tra 500 µm e 1 nm di diametro, sono aumentate esponenzialmente negli ultimi cinquant’anni. L’entità del danno o della tossicità che le MNP possono causare agli esseri umani non è però ancora chiara, sebbene studi recenti abbiano associato la presenza di microplastiche a un aumento dell’infiammazione e a un rischio maggiore di eventi cardiovascolari avversi. In studi sperimentali su colture cellulari e modelli animali, le MNP hanno dimostrato di aggravare malattie o indurre effetti tossici, ma a concentrazioni la cui rilevanza per l’esposizione umana rimane incerta. In sostanza, non è ancora chiaro come le MNP si distribuiscano nei tessuti umani e in quali quantità si accumulino nel corpo, il che rende difficile interpretare i risultati degli studi.
LO STUDIO
Il recente studio pubblicato su Nature Medicine ha analizzato campioni post-mortem di fegato umano, rene e cervello (in particolare la corteccia frontale), provenienti da autopsie condotte nel 2016 e nel 2024, rivelando che i tessuti cerebrali contengono proporzioni più elevate di polietilene rispetto alla composizione delle plastiche rilevate nel fegato o nel rene. Tramite microscopia elettronica, è stato anche osservato che le microplastiche isolate nel cervello si presentano prevalentemente come frammenti di forma lamellare. Questo accumulo è risultato più evidente nei cervelli di individui deceduti con una diagnosi documentata di demenza, con una marcata deposizione delle particelle di plastica nelle pareti cerebrovascolari e nelle cellule immunitarie. Le concentrazioni di plastica nei tessuti post-mortem non sono risultate influenzate da età, sesso, etnia o causa del decesso; tuttavia, il periodo del decesso (2016 rispetto al 2024) è stato un fattore significativo, con un aumento delle concentrazioni di MNP nel tempo sia nei campioni di fegato che di cervello. Questo incremento rispecchia l’aumento esponenziale che stiamo osservando nei livelli ambientali di microplastiche. A destare particolare preoccupazione sono le particelle più piccole di 200 nanometri, composte principalmente da polietilene, che mostrano una marcata deposizione nelle pareti cerebrovascolari e nelle cellule del sistema immunitario. Le loro dimensioni ridotte potrebbero consentire loro di attraversare la barriera emato-encefalica, sollevando interrogativi sul possibile ruolo nelle malattie neurologiche. Tuttavia, è bene ricordare che i dati evidenziati dallo studio non permettono di stabilire un ruolo causale di queste particelle sugli effetti sulla salute.
COME RIDURRE L'ESPOSIZIONE ALLE MICROPLASTICHE?
In un recente commento allo studio di cui sopra, pubblicato su Brain Medicine, sono state analizzate le possibili strategie pratiche per ridurre l’esposizione alle microplastiche. Ad esempio, passare dall’acqua in bottiglia all’acqua di rubinetto filtrata potrebbe ridurre l'assunzione di microplastiche da 90.000 a 4.000 particelle all'anno. Infatti, l’acqua in bottiglia da sola può contribuire all’esposizione annuale a microplastiche quasi quanto tutte le altre fonti ingerite e inalate messe insieme. Preferire l’acqua del rubinetto potrebbe ridurre questa esposizione di quasi il 90%, rendendola una delle strategie più semplici per limitare l’assunzione di microplastiche. Altre fonti significative sono le bustine di tè in plastica, che possono rilasciare milioni di particelle micro e nanometriche per ogni infusione. Un impatto importante è dato anche dal riscaldamento e dalla conservazione degli alimenti: riscaldare il cibo in contenitori di plastica, specialmente nel microonde, può rilasciare quantità significative di microplastiche e nanoplastiche. Evitare la conservazione degli alimenti in plastica e utilizzare alternative in vetro o acciaio inox può rappresentare un piccolo, ma significativo, passo per ridurre l’esposizione. Sebbene questi cambiamenti possano rivelarsi utili, saranno necessarie ulteriori ricerche per confermare se una minore assunzione diretta porti effettivamente a una riduzione dell'accumulo nei tessuti umani.
UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA
In conclusione, sarà importante proseguire con ricerche approfondite per comprendere meglio le implicazioni dell'esposizione alle microplastiche e i possibili effetti sulla salute umana. Una prima necessità potrebbe essere quella di stabilire limiti di esposizione precisi e valutare con attenzione le conseguenze a lungo termine dell'accumulo di microplastiche, non solo nel cervello, ma in tutti i nostri organi. Ampi studi sugli esseri umani saranno cruciali per chiarire le relazioni dose-risposta e per identificare eventuali effetti cronici. Solo con un maggiore approfondimento dei meccanismi di assorbimento e eliminazione, così come delle vie di esposizione, potremo capire meglio le ricadute sulla salute e sviluppare strategie mirate per minimizzare i potenziali rischi, adottando approcci basati su evidenze scientifiche e prevenzione.