I migranti rappresentano una popolazione particolarmente vulnerabile. Cosa fare per garantire loro le cure necessarie? L'intervista a Franco Perrone, presidente AIOM

Il fenomeno della migrazione riguarda la società nel suo insieme e, di conseguenza, anche tutto ciò che gravita intorno al campo delle cure oncologiche. Basti pensare che, in Italia, vivono più di 5 milioni di immigrati residenti, che rappresentano l’8,6% della popolazione, con picchi del 10% in alcune regioni, come il Veneto. Gli immigrati rappresentano una popolazione vulnerabile, per via della condizione socioeconomica, che impatta negativamente sull’accesso all’assistenza sanitaria. Inoltre, la mancanza di controlli e test di screening, una diagnosi ritardata e terapie inadeguate risultano più frequenti in questa popolazione. Per questo, si tratta di un tema di cui è fondamentale occuparsi, come ci ha spiegato il professor Francesco Perrone, presidente di AIOM - Associazione Italiana di Oncologia Medica, in questa intervista.
CANCRO E MIGRANTI: UNA RIFLESSIONE NECESSARIA
Per la prima volta, nel report “I numeri del cancro 2024” di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), che da 14 anni fornisce dati epidemiologici a sostegno dei clinici, della popolazione e delle istituzioni per conoscere, organizzare e gestire la problematica oncologica, è stato inserito il tema del cancro nella popolazione immigrata in Italia: «È da qualche anno che AIOM ha deciso di affrontare temi che riguardano la qualità dell'assistenza oncologica nel nostro Paese in popolazioni o sottogruppi di popolazione che sono potenzialmente esposti a uno svantaggio, come la popolazione carceraria e, appunto, i migranti. Per questo motivo, oltre a inserire gli argomenti nel report annuale, AIOM e Fondazione AIOM hanno anche organizzato, presso l’Isola di San Servolo a Venezia, le Giornate dell’Etica 2024 proprio sul tema “Oncologia e Immigrazione”. La ragione per cui occuparsi del tema è la volontà di essere capaci di guardare oltre il cancro, per mettere in evidenza i problemi che riguardano la società in toto, non solo l’oncologia. Si tratta, quindi, di una vera e propria necessità, in quanto la qualità di un Paese si misura anche dalla capacità che quel Paese ha di garantire i diritti ai più deboli» racconta Perrone.
L'INCIDENZA DEI TUMORI NEI MIGRANTI
Sebbene l’incidenza dei tumori sia generalmente inferiore nella popolazione immigrata rispetto ai nativi italiani, emerge come i tumori di origine virale (come quelli epatici o della cervice uterina) siano invece più diffusi tra gli immigrati provenienti da alcuni Paesi. Le differenze nei tassi di incidenza sono probabilmente dovute a una combinazione di diversi fattori, come differenze nello stile di vita e fattori socioeconomici: «In termini assoluti, la popolazione immigrata è più giovane di quella italiana, per cui una minore incidenza di tumori è da aspettarsi. Inoltre, in termini di numeri relativi, entra in gioco il cosiddetto “effetto migrante sano”. Cioè, chi migra nel nostro Paese arriva generalmente in condizioni di salute migliori rispetto ai propri connazionali che restano nel Paese di provenienza, in quanto sono le persone più sane e giovani a essere in grado di affrontare il viaggio. Allo stesso modo, le persone più anziane potrebbero decidere di tornare nel loro Paese di origine quando si ammalano. Inoltre, per alcune popolazioni specifiche, come le persone provenienti dalla Cina, è stata osservata una tendenza a curarsi in autonomia e a non rivolgersi al Sistema Sanitario Nazionale, per cui i numeri di incidenza potrebbero essere falsati. Senza contare che non abbiamo nessun dato sugli stranieri irregolari e pochi dati rispetto agli stranieri temporaneamente presenti (STP), nei confronti dei quali il dovere deontologico ed etico in quanto oncologi è identico a quello dovuto a qualsiasi altra persona» spiega Perrone.
DIAGNOSI RITARDATE E POCHI SCREENING
Sappiamo, tuttavia, che nei pazienti stranieri troppe diagnosi avvengono in fase avanzata: ad esempio, il 39% delle donne immigrate non esegue la mammografia (rispetto al 27% delle italiane), con la conseguenza che, in questa popolazione, il carcinoma mammario è diagnosticato in stadio precoce in circa l’80% dei casi, rispetto a quasi il 90% nelle donne italiane. Nel caso del tumore della cervice uterina, che fra le Italiane sta diventando un tumore raro grazie alla diffusione dello screening, del Pap-test e del vaccino contro HPV, è evidente come tra le donne immigrate ci sia un’incidenza doppia: negli ultimi 3-5 anni, il 78% delle donne italiane ha eseguito lo screening cervicale, questo valore si ferma al 67% nelle donne provenienti da altri Paesi.
DIFFICOLTÀ DI ACCESSO
Gli ostacoli alla presa in carico dei pazienti oncologici extracomunitari sono molteplici. «Innanzitutto, ad esempio, riguardo il tema degli screening, non dobbiamo dimenticare la resistenza rappresentata dall’imbarazzo, dalla scarsa informazione, dal pregiudizio di una parte della popolazione immigrata, che considera una violazione l’esplorazione del proprio corpo» ricorda il Professor Perrone. Altri ostacoli principali sono costituiti dalla difficoltà nella comprensione del percorso oncologico e nella comunicazione della diagnosi e dalla mancanza di un caregiver. Senza un mediatore culturale (solo 4 oncologi su 10 dichiarano di avere tale supporto) molte fasi della malattia oncologica non possono essere gestite nello stesso modo in cui avviene per i pazienti privi di barriere linguistiche. Per tutti questi motivi, nell’81% dei casi la prognosi oncologica nei migranti è considerata dagli oncologi peggiore rispetto ai risultati raggiunti nella popolazione residente.
LE MISURE PER UNA PRESA IN CARICO
«È forte la necessità di una mediazione che non sia solo linguistica, ma culturale, al fine di offrire un’assistenza adeguata alla popolazione immigrata» spiega Perrone «Il ruolo degli Enti del terzo settore (ETS) e delle associazioni di volontariato, in questo senso, è fondamentale nel garantire un adeguato accesso in oncologia per i migranti. Il processo di mediazione, infatti, non è solo quello di traduzione, ma è un’attività di più ampio respiro che comprende l’aiuto ed il supporto, ha un proprio contesto culturale e può aiutare nel superamento delle barriere. Per questo, la figura del mediatore culturale dovrebbe essere consolidata all’interno delle strutture del servizio sanitario nazionale». Un ulteriore strumento per migliorare la presa in carico dei pazienti oncologici extracomunitari sono i registri nazionali: «Avere registri funzionanti ci consentirà sicuramente un monitoraggio più efficace. Attualmente sappiamo ancora poco sugli stranieri irregolari o temporaneamente presenti (STP) in Italia. Si tratta di una definizione che viene attribuita nel momento in cui uno straniero, temporaneamente presente nel Paese, deve accedere al Servizio Sanitario Nazionale. In quel contesto, viene riconosciuto il diritto alla salute, ma i dati su questa categoria sono limitati. Con registri più efficienti, potremmo migliorare la raccolta di queste informazioni. Abbiamo coinvolto diverse associazioni e società scientifiche in Italia che si impegnano a garantire il diritto alla salute delle popolazioni immigrate, mettendo in campo strumenti simili a quelli disponibili per i cittadini italiani. Questo è un primo passo importante per promuovere il cambiamento. Parlarne è già un contributo significativo; ora vedremo cosa sarà possibile fare concretamente per progredire ulteriormente».
SALUTE: UN DIRITTO PER TUTTI
In Italia, il diritto all’assistenza sanitaria del migrante è riconosciuto formalmente dal 1995. Questo, tuttavia, non sempre corrisponde ad una vera presa in carico, per le difficoltà culturali, burocratiche, amministrative, e di informazione, che, come visto, rendono particolarmente difficile per gli immigrati l’accesso alle cure. Tuttavia, è sempre bene ricordare che, nel mondo, solo il 39% dei Paesi garantisce le cure minime per il cancro in copertura sanitaria universale (UHC), e questa percentuale scende al 28% per l’accesso alle cure palliative. L’Italia è, ad oggi, uno di questi Paesi ed è importante continuare a difendere questo privilegio, ampliando sempre più le possibilità di accesso anche alle popolazioni più fragili.