Incoraggianti i risultati di un progetto pilota portato avanti da sei ricercatori italiani. Sono cinquecentomila gli italiani «schiavi» della polvere bianca
Un cerchietto di ceramica da porre attorno alla testa in grado di far circolare corrente e creare un campo magnetico. La risposta alla dipendenza dalla cocaina potrebbe nascondersi in un simile device, necessario per condurre una stimolazione magnetica transcranica. Una serie di scosse ad alcune aree del cervello sarebbe in grado di risolvere il problema della dipendenza dalla polvere bianca - finora priva di trattamenti efficaci - che attanaglia cinquecentomila italiani.
L'EVIDENZA SCIENTIFICA
La notizia giunge da una ricerca pubblicata sulla rivista European Neuropsychopharmacology. Lo studio ha coinvolto un campione più che "reale", rappresentato da 32 persone in cerca di un trattamento per la dipendenza da cocaina. Un gruppo di 16 pazienti è stato trattato con stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (usata anche contron la depressione e il dolore neuropatico), mentre gli altri 16 pazienti “di controllo” hanno ricevuto dei farmaci mirati ad alleviare i sintomi dell'astinenza - ansia, depressione e insonnia - da cocaina. Durante il periodo di trattamento - una volta al giorno per cinque giorni, dopodiché una volta a settimana: per un totale di otto sedute in 29 giorni - si sono eseguite analisi delle urine per verificare il reale consumo della droga. Nei pazienti del gruppo sperimentale si è riscontrata una forte riduzione dell’uso di droga e dei sintomi da astinenza, rispetto al gruppo di controllo.
Inoltre il 69 per cento (11 pazienti) del gruppo trattato con risonanza magnetica transcranica non ha avuto ricadute nell’uso di cocaina, mentre solo il 19 per cento (tre pazienti) dei soggetti trattati con farmaci ha avuto lo stesso risultato positivo. Al termine di questa prima fase, i pazienti del primo gruppo hanno continuato a sottoporsi settimanalmente al trattamento sperimentale, mentre a coloro che erano arruolati nel gruppo di controllo è stato proposto di abbandonare il trattamento farmacologico per passare alla stimolazione magnetica transcranica. I risultati maturati dopo 63 giorni hanno confermato i benefici - anche in chi inizialmente aveva seguito una terapia con i farmaci - nell’aiutare a mantenere l’astinenza da cocaina.
LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA CONTRO
LA DIPENDENZA DA COCAINA
LE PROSPETTIVE DELLA SCOPERTA
L’uso di impulsi magnetici mirati al cervello - nello specifico alla corteccia prefrontale dorsolaterale, sede delle attività cognitive superiori e danneggiata dalla cocaina - s'è rivelato efficace nel ridurre i sintomi da astinenza e l’uso di droga nelle persone dipendenti, corrispondente a una fetta non trascurabile della popolazione: almeno cinquecentomila italiani, 2,3 milioni di giovani europei (15-34 anni), venti milioni di persone nel mondo. L'evidenza, dovuta alla modificazione della plasticità dei neuroni e alla loro ritrovata funzionalità, è stata riscontrata anche a lungo termine: fino a oltre un anno dopo l'inizio del trattamento. «Questo gruppo di lavoro, per quanto piccolo, è importante perché rappresenta bene il mondo reale - dichiara Luigi Gallimberti, psichiatra tra i più esperti in Italia in tema di dipendenze, oggi ricercatore all'ospedale San Camillo di Venezia e responsabile della parte pratica dello studio -. È importante che il lavoro adesso prosegua con studi clinici più ampi, ma siamo certi che questa sia la strada vincente per combattere e sconfiggere la dipendenza da cocaina».
Come insegnare ai bambini a non cadere nel rischio droga e alcol
UN SUCCESSO DELLA RICERCA ITALIANA
Il risultato ha spinto il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, a evidenziare «il segno della ricerca italiana che coniuga etica e salute e ha un valore enorme sia per gli individui sia per la collettività». A porre le basi del successo è stato il pesarese Antonello Bonci, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale sull'Abuso di Droghe (Nida) di Bethesda. National Institute on Drug Abuse (Nida) di Bethesda. A concretizzarlo in Italia Luigi Gallimberti e Alberto Terraneo, entrambi operativi all'ospedale San Camillo di Venezia. Coinvolti anche due ricercatori del dipartimento di neuroscienze dell'università di Padova: Marina Saladini e Mario Ermani.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).