Alla base dello scetticismo nei confronti del vaccino anti-Covid-19 c'è la sfiducia nei confronti della scienza. Da convincere sono soprattutto donne e giovani
L’unica «via di fuga» dalla pandemia di Covid-19, al momento, sembra rappresentata dalla profilassi vaccinale. Ma perché, allora, quasi 1 italiano su 2 dichiara di non essere propenso a vaccinarsi?
Francesco G. (Cosenza)
Risponde Guendalina Graffigna, professoressa ordinaria di psicologia dei consumi e della salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona
Viviamo una situazione di apparente controsenso. Da una parte siamo ormai insofferenti alle misure restrittive imposte per mantenere sotto controllo i numeri della pandemia e non vediamo l’ora di poter liberarcene. Dall’altro, però, una parte consistente degli italiani è scettica al cospetto di quella che, seppur non nell’immediato, sembra essere la possibilità più concreta per riappropriarci della nostra vita. Ovvero: la vaccinazione, che nel nostro Paese dovrebbe partire nella seconda metà di gennaio.
Soltanto il 57 per cento della popolazione italiana è infatti intenzionato a farsi vaccinare contro Covid-19. Un dato che risulta però troppo basso - i medici ci dicono che è necessario raggiungere almeno il 75-80 per cento della popolazione - per permetterci di arrivare all’immunità di gregge. Il restante 43 per cento è sfavorevole o quantomeno scettico di fronte a questa possibilità. Nello specifico, stando ai dati aggiornati ai primi di dicembre, la quota di contrari è inferiore (16 per cento) rispetto a quella di coloro che risultano esitanti (27 per cento) rispetto a questa opportunità.
Tra i più dubbiosi verso il futuro vaccino per Covid-19 vi sono le donne e le fasce più giovani, fino ai 40 anni. Decisamente intenzionati a vaccinarsi risultano essere invece gli over 60 (75 per cento, rispetto al 57 complessivo), ovvero i più colpiti dal Covid-19. Dai dati raccolti dal nostro Centro di ricerca sulla salute e i consumi alimentari, non sembrano esserci differenze regionali in tema di esitanza vaccinale. Questo conferma che non è la situazione epidemiologica a determinare le percezioni di rischio e la conseguente spinta verso la profilassi. Bensì, fattori soggettivi e psicologici.
I dati raccolti rivelano come chi si trova in uno stato di depressione esprime maggiori dubbi verso la possibilità di vaccinarsi. Mentre chi riporta sintomi ansiosi è più preoccupato rispetto all’intero campione circa il fatto che i nuovi vaccini non siano stati adeguatamente testati per via della velocità della sperimentazione. Il senso di vulnerabilità al contagio e la preoccupazione per il rischio infettivo si conferma essere invece la principale motivazione della scelta che compirebbero le persone più anziane, risultate anche meno scettiche della media rispetto all’adeguatezza della sperimentazione dei nuovi vaccini. Anche i valori dei singoli sembrano spiegare l’orientamento verso il nuovo vaccino contro Covid-19. Chi è più focalizzato su se stesso e sulla propria affermazione risulta più esitante. Al contrario, la propensione a vaccinarsi è accentuata tra gli altruisti, che mettono il bene comune al primo posto nella loro scala di valori.
Ma questi aspetti non spiegano fino in fondo un dato di esitanza vaccinale così elevato. Alla base vi è anche una generale sfiducia nei confronti della scienza: tanto maggiore quanto più si è scettici di fronte alla possibilità di sottoporsi alla vaccinazione. È partendo da qui che occorre calibrare una campagna di informazione sull’importanza della profilassi vaccinale (scopri l'impegno di Fondazione Umberto Veronesi). È necessario avviare subito una comunicazione volta ad inquadrare la vaccinazione nell’ambito di un complesso processo preventivo. Questo al fine non soltanto di aumentarne l’accettazione, ma anche di non attivare un atteggiamento delegante negli italiani. Non bisogna cioè pensare che, pur vaccinandosi, ci si possa dimenticare le regole di comportamento preventivo imparate in questi mesi.
La convivenza con Covid-19 sarà lunga e la dimensione della responsabilità personale nell’aderenza alla prevenzione cruciale per molto altro tempo. Dobbiamo preoccuparci di far crescere il numero di italiani disposti a vaccinarsi. Ma anche fare attenzione affinché non cali il rispetto delle indicazioni preventive, destinate a rimanere un elemento chiave anche nei mesi a venire.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).