Da vari studi emergono i maggiori disturbi creati dalla quarantena. Oltre la metà degli italiani (bambini compresi) dorme peggio e continuerà così oltre la pandemia
Il Covid-19 ci ha tolto il sonno. Per lo meno a una metà di noi. L’ansia è in testa ai disturbi mentali comparsi con la quarantena, seguita dall’insonnia. Solo che ansia - e depressione - possono provocare la perdita di sonno oppure, a loro volta, esserne provocate. E’ un rapporto bidirezionale, che si complica in presenza di altri disturbi: psichiatrici e cognitivi. A portare il tema del sonno in tempo di coronavirus al recente Congresso della Società italiana di Neurologia è stato Giuseppe Plazzi, direttore del centro per lo studio e la cura dei disturbi del sonno all’ospedale Bellaria di Bologna e presidente della Associazione Italiana di Medicina del Sonno (Aims).
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PIÙ INSONNIE CHE PRIMA DELLA PANDEMIA
Lo specialista a esordito citando due lavori pubblicati sulle riviste scientifiche The Lancet Psychiatry e Jama Open. Il primo studio ha preso in esame, in maniera retrospettiva, 60mila persone ammalatesi di Covid e ha realizzato che al secondo posto dei disturbi collaterali provocati dalla malattia c'era l’insonnia. L’altro lavoro, condotto in Canada sotto la guida di Charles Morin, ha ricostruito che l'insonnia, una volta comparsa (a prescindere dalla causa), tende a diventare permanente con le implicazioni accennate. Un grosso e diffuso problema che resterà anche dopo la fine della pandemia. Un’eredità pesante che non compete più ai virologi. Cosa ha provocato tutto questo diffuso panorama? «In particolare l’isolamento forzato che ha rotto i ritmi di vita, del sonno, e dell’alimentazione - spiega Plazzi -. L’insonnia si manifesta con ritardo nell’addormentarsi, molti risvegli durante la notte, l'esperienza di sogni terrifici, quelli che spesso sono chiamati incubi. E più l’ansia è importante, più accentuati sono questi fenomeni. A consolidare queste informazioni ci sono anche quelle relative alle vendite di alcuni sonniferi, cresciute fino al 40 per cento. Appare oramai certo che il Covid ha creato più insonnie di quante ce n'erano prima della pandemia. E si sono raccolti anche sintomi del disturbo da stress post-traumatico».
DORMIRE BENE PROTEGGE
DALLA DEPRESSIONE?
A RISCHIO (SOPRATTUTTO) LE DONNE
Plazzi cita i risultati di un ampio studio italiano (cui ha preso parte), coordinato dall’Università di Parma e pubblicato sulla rivista Frontiers of Psychology. Sono stati indagati seimila casi, tra marzo e maggio scorsi, di persone di età compresa tra 18 e 82 anni ed è risultato che più della metà (55.3 per cento) lamentava una ridotta qualità del sonno e modificazioni del ritmo sonno-veglia, con una anticipazione o posticipazione del periodo di sonno. Con l’aggiunta di una maggiore quantità di sonno diurno. «Tutto questo si lega a più elevati livelli di stress, ansia e depressione - aggiunge lo specialista - e a un peggioramento del benessere mentale e della qualità della vita. E il rischio maggiore riguarda le donne». Neanche i bambini sono stati risparmiati dall’ombra grigia del Covid con isolamento. «Dati preliminari indicano che nella popolazione in età pediatrica siano saltati soprattutto i ritmi del sonno - continua Plazzi -. Ciò vuol dire o l’addormentarsi molto tardi la sera e dormire poi l’intera mattina oppure dormire molto al pomeriggio con conseguente risveglio nel cuore della notte e, alla fine, di nuovo sonno nella mattina».
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ANCHE PER I BAMBINI AUMENTO DI PESO
Ma le sregolatezze nel dormire si legano a implicazioni serie a livello di metabolismo, tra cui il cibo mangiato fuori orario e l’aumento di peso, con i problemi che questo può comportare. «Si credeva una volta che gli insonni siano magri. Non è vero. Aumenta anche la resistenza all’insulina, configurando una forma di prediabete che induce il corpo a produrre più insulina. Questa reazione contribuisce all'aumento della fame. Un circolo per nulla virtuoso, che tocca bambini come adulti». C’è stato un sensibile aumento di di disturbi del ritmo circadiano (i ritmi vitali della giornata secondo il nostro orologio interno) in età pediatrica, di insonnia e conseguenti disturbi dell’umore e comportamentali. «Il sonno va protetto, ha una grande valenza come prevenzione del benessere fisico e mentale», dice ricorda Plazzi. A questo proposito, l’Associazione Italiana di Medicina del Sonno ha creato un sito che permette a tutti di comunicare, via skype o via email, i propri problemi a un esperto, in orario diurno (clicca qui per consultarlo).
UNA NUOVA PARASONNIA (OLTRE IL COVID-19)
Uscendo dall’area coronavirus, Plazzi ha portato all’attenzione dei colleghi altri disturbi legati al sonno che stanno catalizzando l’impegno dei ricercatori. Una parasonnia chiamata disturbo comportamentale del sonno Rem (Rbd). Colpisce di solito persone sopra i 50 anni e si manifesta con comportamenti verbali e motori, a volte estremamente violenti che compaiono nella seconda parte della notte, associati al sogno. Ricordiamo che si chiama Rem il sonno accompagnato da rapido movimento degli occhi, che avviene in concomitanza dei periodi in cui si sogna. «La persona dorme, ma può alzarsi sul letto, scalcia, urla, tira pugni, litiga con qualcuno che gli altri non vedono - esemplifica il professor Plazzi. – In genere questo accade verso le 3 di notte quando si sogna di più. E c’è da dire che la persona quando si sveglia ricorda perfettamente il sogno che stava facendo».
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CHI DORME SCALCIANDO A RISCHIO DEMENZA
Non sa però che quei suoi atti notturni sono un pessimo segno. Un segno premonitore di una malattia neurodegenerativa che può rivelarsi un parkinsonismo o una demenza. Ciò avviene perché una proteina anomala, la sinucleina fosforilata, si deposita in diverse sedi cerebrali, a cominciare dal basso, cioè dal tronco cerebrale dove stanno i centri del sonno. «Ecco perché l’Rbd è uno dei primi sintomi», precisa Plazzi. «Ed è importante riconoscerlo per intervenire il prima possibile». Ci sono oltre 500 ricerche negli ultimi due anni incentrate su questa malattia, cui i centri italiani del sonno partecipano attivamente.
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NARCOLESSIA, IPERSONNIE RARE E UNA SPERANZA
Un’enorme impennata di studi hanno conosciuto anche narcolessia e ipersonnie rare. La prima è una malattia autoimmune che dà una sonnolenza continua molto importante, si sviluppa nei giovani e provoca una serie di sintomi neurologici tra cui la cataplessia (la caduta improvvisa a terra in piena coscienza per un’emozione). Accanto a queste notizie legate a previsioni negative, Plazzi ha acceso però anche una speranza: sono in fase 3 della sperimentazione, dunque vicini alla cura del malato, gli agonisti della orexina, un peptide di produzione ipotalamica che è carente nella narcolessia. Studi che, dai primi risultati, appaiono molto promettenti. L’orexina (neurotrasmettitore importante nella regolazione del ritmo sonno-veglia e dell'appetito) compare anche in altre sperimentazioni sempre in fase 3 per una nuova categoria di ipnotici, per trattare l’insonnia anche nell’anziano e nei pazienti con demenza. Stavolta si tratta di antagonisti della orexina. Due luci di speranza in fondo a un quadro oscuro.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.