Cristina Sorino lavora per completare il profilo molecolare della leucemia linfoblastica acuta, il tumore più diffuso entro i 14 anni. L'obiettivo è mettere a punto terapie efficaci anche nei casi che oggi non rispondono ai farmaci a disposizione
Febbraio è il mese dedicato alla lotta contro i tumori che colpiscono bambini e adolescenti, gli ultimi che vorremmo vedere nelle corsie di un ospedale.
Dal 2014 la Fondazione Veronesi è al fianco dei medici e dei ricercatori impegnati nell’oncologia pediatrica col progetto Gold for kids, che ha l’obiettivo di sostenere le migliori cure e ricerche e di fare informazione sul tema. Ogni anno, nel mondo si ammalano di cancro circa 250.000 bambini.
In Italia, le nuove diagnosi di tumore sono circa 1600 nei bambini fino a 14 anni e mille negli adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Le neoplasie pediatriche rappresentano ancora la prima causa di morte per malattia nei bambini e hanno un impatto drammatico sui pazienti e sulle loro famiglie.
Tra i tumori pediatrici, le leucemie sono i più diffusi. Grandi sono stati i progressi della ricerca medico scientifica: solo poche decina di anni fa guarivano il 20-30% dei bambini colpiti, ora arriviamo all’80-90%.
Ma non è abbastanza: l’obiettivo è riuscire a curare con successo tutte le leucemie infantili. Nel 2016 saranno dieci i ricercatori che Fondazione Veronesi sostiene proprio nell’ambito dell’oncologia pediatrica. Una di questi è Cristina Sorino (nella foto), biologa, 33 anni, che lavora all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma.
Cristina, di che cosa ti occupi?
«Io studio la leucemia linfoblastica acuta, il tumore più diffuso tra gli zero e i 14 anni e che rappresenta circa l’85% di tutti i casi di leucemia infantile. È un tumore del sangue in cui un particolare tipo di globuli bianchi (linfociti) si dividono senza controllo, invadendo il sangue e il midollo osseo. Abbiamo a disposizione terapie molto efficaci che però, nel 10-20% dei casi non danno i risultati sperati.
Quindi è importante continuare a studiare per trovare nuove strategie terapeutiche, giusto?
«È proprio così. La mia ricerca si focalizza sullo studio della proteina Che-1. Questa proteina regola la sopravvivenza e la divisione cellulare in diversi tipi di tumore, tra cui anche le leucemie.
Dalle analisi effettuate su 80 pazienti pediatrici colpiti da leucemia linfoblastica, abbiano visto che nel 90% dei casi ci sono livelli molto alti di Che-1. Questa proteina può essere dunque responsabile della progressione della malattia, insieme ad altri fattori già noti?
A questa domanda sto cercando di rispondere, in particolare se il blocco di Che-1 può causare un arresto nella proliferazione e nella crescita delle cellule leucemiche. L’obiettivo finale è quello di identificare nuovi possibili bersagli terapeutici.
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Diversi anni fa mia cugina purtroppo si ammalò di leucemia, e in quel momento avrei voluto fare di tutto per aiutarla. Questo mi ha spinta a fare ricerca e offrire il mio contributo a chi soffre».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare
«Sono due i momenti che vorrei incorniciare: la pubblicazione del mio primo lavoro scientifico, e la vincita della borsa di Fondazione Veronesi, una grande soddisfazione personale e lavorativa, che mi permetterà di continuare la mia ricerca».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Spero di fare ancora ricerca e magari di essere a capo di un mio gruppo di ricerca, anche se al giorno d’oggi è difficile fare progetti a lungo termine. Però, non riesco a vedermi in un lavoro diverso da questo».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Scoperta e innovazione, perché offre la possibilità ogni giorno di imparare qualcosa di nuovo, ma anche frustrazione e fallimento, quando gli esperimenti non confermano l’ipotesi iniziale».
A tuo parere quali sono i campi più promettenti per la salute dei prossimi decenni?
«L’utilizzo delle cellule staminali per la rigenerazione e la riparazione in vitrodei tessuti danneggiati».
Qual è per te il senso profondo, “filosofico” che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?
«Sicuramente il pensiero che quello che faccio possa fornire aiuto e speranza alle persone che soffrono. Non so se questo possa essere considerato un senso “filosofico”, ma è il mio senso».
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Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.