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Laura Costantin
pubblicato il 17-12-2018

Nano-anticorpi: una nuova arma contro la leucemia mieloide acuta pediatrica



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Mettere a punto anticorpi in grado di bloccare le proteine responsabili dello sviluppo e della progressione della leucemia mieloide acuta è l'obiettivo di Chiara Bruckmann

Nano-anticorpi: una nuova arma contro la leucemia mieloide acuta pediatrica

La leucemia mieloide acuta è un tumore delle cellule della linea mieloide che normalmente, attraverso un processo di maturazione, si differenziano e producono globuli rossi, piastrine e alcune cellule del sistema immunitario come granulociti, monociti e megacariociti. Questo tumore del sangue rappresenta circa il venti per cento di tutte le neoplasie pediatriche e colpisce ogni anno in Italia circa 70-80 bambini. L’incidenza della malattia varia in funzione dell’età: il maggior numero di nuovi casi si registra durante il primo anno di vita, poi l’insorgenza diventa meno frequente tra i 5 ai 9 anni di età, e aumenta nuovamente con un secondo picco fra i 10 e i 14 anni.

Nella leucemia mieloide acuta, le cellule della linea mieloide perdono la loro capacità di differenziarsi e crescono rapidamente, accumulandosi nel midollo osseo e invadendo anche altri tessuti. La trasformazione cancerosa dei precursori cellulari è provocata da mutazioni a carico del Dna e si associa, in oltre la metà dei casi, ad alterazioni della struttura dei cromosomi. Esistono diverse forme di leucemia mieloide acuta che possono essere identificate e classificate in base alla mutazione genetica coinvolta: la variante di leucemia mieloide acuta che coinvolge il gene MLL è una forma rara, ma molto aggressiva, che colpisce i bambini nei primi due anni di vita e ha una prognosi sfavorevole.

Il trapianto di midollo osseo rappresenta la prima linea di trattamento, mentre le chemioterapie attualmente disponibili sono purtroppo insoddisfacenti. Chiara Bruckmann sta cercando di sviluppare una nuova cura per questa malattia partendo dalla conoscenza dei suoi meccanismi molecolari, grazie al sostegno del progetto Gold for Kids di Fondazione Umberto Veronesi.

 

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Chiara, raccontaci qualcosa di più sul tuo progetto.

«Il mio lavoro parte da un’osservazione: la formazione di un complesso tra due proteine, MEIS e PBX, gioca un ruolo molto importante nell’insorgenza e nella progressione della leucemia mieloide di tipo MLL. Ho quindi pensato di interferire in questo legame per sviluppare un nuovo approccio terapeutico alla malattia».

 

Come pensi di bloccare l’interazione tra le due proteine?

«Per impedire il legame utilizzerò una terapia innovativa basata su piccoli anticorpi a singolo dominio. Come sapete, gli anticorpi sono strutture formate da diverse catene proteiche che possono riconoscere e legarsi in maniera molto specifica ad un certo bersaglio molecolare. I nanobodies hanno la stessa specificità degli anticorpi classici, ma riescono a penetrare più facilmente nelle cellule e hanno una minore tossicità».

 

Quali sono quindi le prospettive, anche a lungo termine, per i piccoli pazienti?

«I risultati prodotti da questa ricerca contribuiranno ad approfondire la conoscenza dei meccanismi molecolari della leucemia mieloide di tipo MLL e inoltre, a lungo termine, aiuteranno lo sviluppo di farmaci innovativi e più efficaci per la cura dei pazienti».

 

Hai vissuto sei anni all’estero per le tue ricerche. Cosa ti ha spinto a tornare?

«La mia esperienza all’estero è stata positiva sia dal punto di vista personale sia professionale. L’Italia non mi è mancata e mi sento una cittadina europea. Ho deciso di rientrare perché l’IFOM è un istituto di ricerca all’avanguardia, dove ho sempre desiderato lavorare. Proprio qui, infatti, ho avuto l’opportunità di applicare le tecniche imparate all’estero alla ricerca sul cancro».

 

Se dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Il privilegio di contribuire alla conoscenza. I ricercatori dedicano la loro vita al progresso e al sapere e mettono il frutto del loro lavoro a disposizione dell’intera comunità».

 

Quanto ha contato la tua famiglia nel tuo percorso professionale?

«I miei genitori sono stati importantissimi, mi hanno insegnato a guardare il mondo con curiosità e a pormi sempre delle domande, senza mai aver paura di sbagliare».


Qual è il senso profondo che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?

«L’esigenza di guardare sempre avanti, quell’istinto che sprona gli esseri umani a superare i propri limiti mentali e fisici e li porta a esplorare territori sconosciuti, a battere record sportivi, a inventare sempre qualcosa di nuovo».

 

Pensi che la scienza e la ricerca abbiano dei lati oscuri?

«La ricerca biomedica non può avere lati oscuri, perché è l’osservazione della realtà infinitamente piccola del nostro organismo. Oggi però c’è molta distanza tra ricercatori e cittadini. È necessario far capire alla comunità che quello dei ricercatori è un lavoro serio e difficile, spesso frustrante, e che procede a piccoli passi. I ricercatori lavorano per il beneficio dell’intera comunità e non hanno alcun interesse a nascondere le loro scoperte, anzi il loro obiettivo finale è renderle pubbliche. Il sentimento antiscientifico si può e si deve contrastare aumentando la fiducia e il rispetto dei cittadini per il lavoro scientifico e diminuendo la distanza tra chi fa ricerca e chi non la fa».

 

Chiara fuori dal laboratorio: hai qualche hobby o passione in particolare?

«Il mio tempo libero è dedicato al windsurf, uno sport adrenalinico ed emozionante che mi permette un contatto totale con la natura».

 

Una cosa che vorresti assolutamente vedere?

«L’aurora boreale, che nonostante gli anni trascorsi in Finlandia non sono riuscita a vedere».

 

Cosa ti piace guardare in tv?

«Sono crescita guardando Super Quark e sono appassionata di documentari di tutti i generi. Uno dei miei sogni è poter contribuire alla realizzazione di documentari sulle scoperte scientifiche nel campo della ricerca medica, per avvicinare il grande pubblico al fascino della biochimica e della biologia cellulare».

 

Se potessi scegliere, con quale personaggio famoso ti piacerebbe andare a cena?

«Avrei voluto conoscere Stephen Hawking, l’astrofisico britannico che è riuscito a trasmettere al grande pubblico elaborate teorie fisiche e astronomiche grazie alla chiarezza e alla semplicità del suo linguaggio».

 

Raccontaci una “pazzia” che hai fatto.

«Helsinki-Milano in Seicento con tutte le mie cose, quando mi sono trasferita a Milano dalla Finlandia».

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