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Caterina Fazion
pubblicato il 02-10-2024

HIV e AIDS: è ora di aumentare prevenzione e informazione



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I paesi europei sono vicini a centrare gli obiettivi ONU su HIV e AIDS, ma in quelli in via di sviluppo resta molto da fare. Consapevolezza e diagnosi precoce restano una sfida, anche in Italia

HIV e AIDS: è ora di aumentare prevenzione e informazione

Sebbene il numero delle infezioni da HIV continui a destare preoccupazione, in particolare in alcune aree geografiche, i progressi scientifici e le nuove terapie offrono speranze concrete per controllare la diffusione del virus. Grazie a trattamenti sempre più efficaci e a una diagnosi precoce, molte persone affette da HIV possono oggi condurre una vita normale -con una qualità di vita sostanzialmente paragonabile a quella di chi non ha il virus- evitando che l'infezione evolva in AIDS. Tuttavia, persistono lacune in termini di informazione e sensibilizzazione, non solo tra i cittadini, ma anche tra i medici di base, che spesso non raccomandano la diagnosi precoce o l’uso della profilassi pre e post esposizione, strumenti efficaci ma poco sfruttati.

Ma qual è la situazione attuale riguardo ai contagi? Gli obiettivi delle Nazioni Unite, che mirano a ridurre globalmente il numero di infezioni e i decessi legati all’AIDS, sono a portata di mano? Ecco un quadro della situazione, in Italia e nel mondo.

 

LA SITUAZIONE ITALIANA

Nel 2022, il Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità ha segnalato 1.888 nuove diagnosi di infezione da HIV in Italia, con un’incidenza di 3,2 casi ogni 100.000 residenti, al di sotto della media dell’Europa occidentale (5,1 per 100.000). Dal 2012, l’incidenza delle nuove infezioni è in calo, anche se negli ultimi due anni post-pandemia si è registrato un leggero aumento. Le regioni con le incidenze più alte sono Lazio, Toscana, Abruzzo e Campania. La maggior parte dei nuovi casi riguarda uomini (78,7%), con un'età mediana di 43 anni per i maschi e 41 per le femmine. Le fasce d’età più colpite sono i 30-39 anni (7,3 casi per 100.000) e i 25-29 anni (6,5 per 100.000). L'83,9% delle infezioni è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, con il 40,9% tra uomini che fanno sesso con uomini. Gli stranieri costituiscono il 31,2% delle nuove diagnosi, e i casi tardivi, diagnosticati con bassi livelli di linfociti CD4, rappresentano una quota rilevante, anche se in leggero calo nel 2022. Per quanto riguarda l'AIDS, nel 2022 sono stati registrati 403 nuovi casi, con un'incidenza di 0,7 per 100.000 residenti. Il 75,4% di questi pazienti non aveva ricevuto una terapia antiretrovirale prima della diagnosi. I decessi legati all’AIDS restano stabili, con circa 550 morti all'anno.

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NON È UN PROBLEMA DEL PASSATO

Rispetto al passato, grazie alla diagnosi precoce e a terapie sempre più efficaci in grado di azzerare la carica virale, le persone con HIV possono condurre una vita normale, con un’aspettativa di vita paragonabile a quella del resto della popolazione.

«Fino a una quindicina di anni fa – spiega il dottor Paolo Scerbo, infettivologo dell'ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro –, nonostante la mortalità fosse già in forte calo, l’aspettativa di vita dei pazienti che avevano contratto il virus era ridotta di circa quindici anni. Anche gli effetti collaterali dei farmaci in passato erano numerosi, importanti e frequentemente riconoscibili, il che alimentava lo stigma sociale. Oggi, grazie ai progressi della scienza, questa situazione è cambiata e l’aspettativa di vita è sostanzialmente sovrapponibile a quella di chi non ha contratto il virus. Tuttavia, anche seguendo la terapia, l’infezione predispone a un maggior rischio di malattie metaboliche, cardiache e neoplastiche».

«Spesso ci dimentichiamo che l’HIV è ancora un problema attuale», prosegue il dottor Paolo Scerbo. «Nonostante la possibilità di eseguire test per la diagnosi precoce con un semplice prelievo di sangue, molti giovani, ritenendo di non essere a rischio, arrivano alla diagnosi solo in fase avanzata. Questo è dovuto anche alla riduzione delle campagne informative, che ha portato a un calo nella prevenzione e nell’attenzione verso la diagnosi tempestiva».

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GLI STRUMENTI PER PROTEGGERCI

Oltre all’uso del profilattico, esistono diversi strumenti per prevenire il contagio, ma rimangono poco conosciuti e utilizzati. Stiamo parlando, ad esempio, della profilassi pre esposizione (PrEP), un importante strumento di prevenzione aggiuntivo per le persone negative all’HIV che adottano comportamenti a rischio, come un uso sporadico o assente del profilattico. La PrEP consiste nell’assunzione preventiva di farmaci antiretrovirali in caso di un rischio significativo di contrarre l’HIV per via sessuale, con l'obiettivo di ridurre al minimo le possibilità di infezione.

«La PrEP in Italia è ora disponibile e gratuita, a differenza del passato – prosegue il dottor Scerbo –, quando i costi gravavano sui cittadini. Può essere richiesta con una prescrizione AIFA da parte di medici specializzati, generalmente infettivologi, nei centri di malattie infettive o nei servizi per la prevenzione e cura dell'HIV/AIDS. I medici di base, che solitamente conoscono i pazienti e le loro abitudini, svolgono un ruolo fondamentale nell’indirizzarli verso uno specialista per valutare l'idoneità alla terapia, ma raramente sono sufficientemente informati per farlo. Oggi c’è una discreta richiesta, ma ancora ben lontana dal coprire il numero di soggetti a rischio di trasmissione dell'infezione per via sessuale. Sebbene le varie associazioni stiano cercando di stimolare la consapevolezza in questo campo, c'è una mancanza di impegno da parte dello Stato, che dovrebbe promuovere campagne nazionali sui mass media riguardo a questo tema».

Non va dimenticata la profilassi post esposizione (PEP), utilizzata in situazioni di emergenza. Essa consiste nell’assunzione di farmaci antiretrovirali per quattro settimane dopo l’esposizione al virus, al fine di ridurre il rischio di infezione. La PEP può essere richiesta gratuitamente al pronto soccorso o in una struttura specializzata in HIV, ed è raccomandata entro le 48 ore dall’esposizione. Anche in questo caso, le persone che ne fanno uso sono molto poche rispetto al numero di soggetti a rischio.

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LO STIGMA RESTA

Le terapie antiretrovirali, se assunte in modo tempestivo e continuativo, sono in grado di azzerare la carica virale, portando alla situazione di U=U (Undetectable = Untransmittable). Questo significa che, una volta raggiunta la soppressione virale e la carica virale non rilevabile, il rischio di trasmissione sessuale dell’HIV diventa nullo.

«Quando la carica virale è azzerata – ricorda il dottor Paolo Scerbo –, non c’è rischio di contagiare il partner e, addirittura, esiste la possibilità di concepire un figlio sano. Tuttavia, molte persone continuano a nutrire dubbi e, spesso, sono gli stessi pazienti a preferire il silenzio riguardo alla loro condizione con partner, familiari o amici, per evitare di essere percepiti come soggetti infetti e potenzialmente pericolosi. Oggi, fortunatamente, non assistiamo più a campagne informative stigmatizzanti, come quelle che rappresentavano le persone con HIV circondate da un alone viola da evitare, né si parla più di “untori”. Tuttavia, il tema dell'HIV/AIDS continua a suscitare timore e, finché non aumenteranno conoscenza e consapevolezza, questa paura persisterà».

 

QUALE TERAPIA SCEGLIERE

Lo stigma legato all'HIV può influenzare anche le scelte relative alle terapie antiretrovirali, che, fortunatamente, sono disponibili per tutte le persone che ne necessitano, almeno in Italia e nei paesi europei. La vera sfida consiste nel garantire che ogni persona con HIV sia consapevole del proprio stato sierologico, in modo da poter iniziare tempestivamente il trattamento. Le terapie antiretrovirali (ART) per l'HIV, in grado di azzerare la carica virale e prevenire la progressione verso l'AIDS, possono essere assunte in vari modi, a seconda del tipo di farmaco e delle esigenze del paziente. Le principali modalità di assunzione sono due.

  • Via orale: molti farmaci antiretrovirali sono disponibili in forma di compresse da assumere quotidianamente. Alcuni regimi di trattamento sono formulati in monodose, consentendo al paziente di prendere una sola compressa al giorno, contenente più principi attivi.
  • Iniezioni: questi farmaci possono essere somministrati per via intramuscolare ogni due mesi, offrendo un'alternativa comoda nota come terapia long acting, ideale per i pazienti che preferiscono non assumere compresse quotidianamente. Le iniezioni possono essere effettuate in ambulatori, cliniche specializzate o, in alcuni casi, a domicilio.

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GLI OBIETTIVI ONU

Nell'Agenda 2030, sottoscritta nel 2015 da 193 stati membri dell'ONU, si stabiliscono diciassette obiettivi per migliorare le condizioni dell'umanità e del pianeta, tra cui la sconfitta di malattie epocali come tubercolosi, epatiti, malaria e AIDS entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati membri devono rispettare tappe intermedie, la prima delle quali per l'HIV/AIDS si è conclusa nel 2020, mentre la prossima si concluderà nel 2025. Ecco i principali target da raggiungere.

  • “95-95-95”: rendere consapevole del proprio stato sierologico il 95% delle persone con HIV, garantire a questo 95% l'accesso alle terapie ART e raggiungere almeno il 95% di soppressioni virologiche.
  • Ridurre il numero di nuove infezioni da 1,7 milioni nel 2019 a 370.000 nel 2025.
  • Abbattere i decessi correlati all'AIDS da 690.000 nel 2019 a 250.000 nel 2025.
  • Diminuire sotto il 10% la percentuale di persone che subiscono discriminazioni e stigma.
  • Assicurare che il 30% dei servizi di testing e trattamento sia fornito da organizzazioni guidate dalle comunità.

«Questi obiettivi ambiziosi, a cui si aggiunge anche il miglioramento della qualità della vita per il 95% delle persone con HIV – riflette il dottor Scerbo –, sono purtroppo poco realistici da ottenere, soprattutto se si considera che tutti i paesi coinvolti partono da situazioni socio-economiche e culturali molto diverse. Mentre in Europa, paesi come Francia, Italia, Germania e Regno Unito sono più vicini a questi obiettivi, l'accesso a test e terapie è significativamente limitato in molte nazioni dell'Est Europa, Asia e Africa, a causa di fattori economici e politici. In Africa, per esempio, sarebbe già un grande successo raggiungere il 50-60% di copertura nei trattamenti. Sebbene gli obiettivi globali siano irrealistici da conseguire in modo uniforme entro il 2030, è fondamentale perseguirli con tutte le risorse disponibili».

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IL VACCINO: LA GRANDE SPERANZA

Sono stati compiuti significativi progressi nella lotta contro l’HIV, ma non è ancora disponibile un vaccino in grado di prevenire definitivamente l’infezione.

«Creare un vaccino contro l'HIV è complesso a causa della rapida mutazione del virus e della sua capacità di eludere la risposta del sistema immunitario, rendendo difficile generare anticorpi efficaci. A differenza di altri vaccini, come quello per il COVID-19, il virus dell'HIV presenta proteine di superficie molto variabili, complicando ulteriormente lo sviluppo di una protezione duratura. I vaccini testati finora non hanno superato le fasi avanzate degli studi clinici, poiché non sono stati in grado di garantire un'efficace protezione. Inoltre, non tutti gli anticorpi generati da un vaccino sono neutralizzanti, il che significa che non bloccano necessariamente l'infezione. Un vaccino ideale per l'HIV dovrebbe avere sia una funzione preventiva, per la popolazione generale, sia una terapeutica, per chi è già infetto. Tuttavia, non è garantito che un vaccino possa soddisfare entrambi gli scopi, come dimostrato dal vaccino per l'epatite B, efficace solo per la prevenzione. Si spera che gli sforzi globali conducano presto a un vaccino che affronti efficacemente questa malattia».

 

LA DIAGNOSI PRECOCE VA AUMENTATA

L'HIV è un virus che non può ancora essere eradicato. Le persone con HIV possono avere una qualità e un'aspettativa di vita simili a quelle di chi non ha contratto il virus, ma devono conviverci per sempre. Pertanto, una diagnosi precoce è fondamentale per avviare tempestivamente le cure.

«Molte persone evitano di sottoporsi al test per l'HIV per vergogna e timore dello stigma – ricorda Scerbo –, ignorando che il test è gratuito e anonimo. Sia i pazienti sia i medici di base, infatti, spesso non sono a conoscenza del codice di esenzione B01, necessario per annotare la prestazione sulla ricetta. Questa mancanza di informazione impedisce ai medici di indirizzare e consigliare correttamente i loro pazienti, limitando l'accesso a un fondamentale strumento di diagnosi. È importante sensibilizzare sia la popolazione sia i professionisti della salute su queste risorse disponibili per migliorare la diagnosi e la prevenzione dell'HIV».

Molte persone, proprio a tutela della privacy, preferiscono utilizzare gli autotest HIV, dispositivi che permettono alle persone di verificare l’eventuale presenza del virus in modo rapido e privato, direttamente a casa. Possono essere test salivari o test che prevedono il prelievo di una goccia di sangue da un dito. Per quanto utili, sono sicuramente meno precisi del prelievo del sangue effettuato da un operatore sanitario. Effettuare un test affidabile è fondamentale specialmente per i giovani, che spesso sottovalutano il problema, ma che al contempo, a causa della variabilità dei partner contribuiscono alla diffusione massiccia del virus.

 

AUMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA

Per migliorare la prevenzione dell'HIV e garantire un accesso tempestivo alle cure, è fondamentale potenziare l'informazione e la consapevolezza dei cittadini, fin da piccolissimi. La mancanza di conoscenze adeguate sulla malattia, sui metodi di prevenzione e sull'importanza di testarsi regolarmente contribuisce a ritardi nella diagnosi e nel trattamento. Come creare una cultura di consapevolezza e inclusività?

«Affrontare il tema dell'HIV richiede un approccio multidimensionale che inizi dall’educazione nelle scuole. È fondamentale parlare di educazione sessuale fin dall’infanzia, per rendere i ragazzi più consapevoli dei rischi e per abbattere i tabù. Solo creando una cultura di apertura mentale possiamo formare una generazione capace di affrontare con serenità queste tematiche, senza temerle. Un altro aspetto cruciale è la formazione dei medici di base, che svolgono un ruolo fondamentale nel fornire informazioni e consigli ai pazienti. Un contatto diretto e costante tra medici e comunità è essenziale per garantire che informazioni sulla PrEP, sulla PEP e sui test HIV raggiungano le persone a rischio. Inoltre, il potere dei media e delle campagne informative non può essere sottovalutato. Campagne televisive e film che rappresentino in modo positivo le vite delle persone con HIV possono contribuire a ridurre lo stigma e a promuovere una visione più realistica e normale della vita quotidiana. La rappresentazione di relazioni sane e famiglie con genitori che hanno l’HIV potrebbe cambiare la narrativa negativa attorno a questo tema», conclude il dottor Paolo Scerbo.

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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