Anche il governo italiano blocca gli allevamenti di visoni. Gli animali in grado di contrarre l'infezione da Sars-CoV-2 e sviluppare la malattia. Con quali rischi per la salute?
Stop per tre mesi all’allevamento di visoni su tutto il territorio italiano. Il provvedimento firmato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, recepisce le indicazioni provenienti negli ultimi giorni dalla comunità scientifica. L’infezione da Sars-CoV-2 può essere trasmessa dall’uomo all’animale e viceversa. Di conseguenza, vista la rapida diffusione che il contagio può avere in un allevamento, «si è valutato di seguire il principio della massima precauzione», è quanto riportato nel documento del Governo. «Un passo inevitabile», lo definisce Carlo Alberto Redi, già ordinario di zoologia all'Università di Pavia e presidente del comitato etico di Fondazione Umberto Veronesi. D'altra parte un invito alla cautela era stato espresso nei giorni scorsi dal Consiglio Superiore di Sanità. Così l'Italia ha scelto di porsi sullo stesso piano di altri Paesi europei che hanno chiuso gli allevamenti dopo aver dovuto abbattere decine di animali infetti.
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I PRECEDENTI DI OLANDA E DANIMARCA
Il primo rilevamento del virus responsabile della malattia Covid-19 negli animali risale al 26 aprile. Sars-CoV-2, in quell’occasione, fu ritrovato in due visoni in Olanda e in un allevatore che era entrato in contatto con loro. Nei Paesi Bassi è stato un crescendo di contagi fino a giugno, quando il ministero dell’Agricoltura ha confermato l’abbattimento degli animali degli allevamenti infettati («nell’interesse della salute pubblica ed animale»). La questione è tornata di attualità tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. A far parlare, questa volta, sono state le informazioni provenienti dalla Danimarca. Nel Paese scandinavo, nelle scorse settimane, sono infatti stati registrati casi di animali infetti in diversi allevamenti. E, soprattutto, 214 pazienti risultati positivi alla variante del virus rilevata nei visoni. Una situazione che ha portato il governo del primo Paese nella produzione di pellicce di visone, a disporre l’abbattimento di 17 milioni di animali allevati. Secondo il premier Mette Frederiksen, «gli studi in corso provano che la variante mutante del virus di cui i visoni sono portatori appare resistente a ogni tipo di vaccino in preparazione. Non vogliamo la responsabilità di aprire la porta a una variante del virus per tutelare l’interesse all’export di pellicce».
IL CORONAVIRUS E' STATO CREATO
IN LABORATORIO?
SPILLOVER INVERSO: QUANDO IL SALTO DI SPECIE AVVIENE...AL CONTRARIO
Quello che si è verificato in Olanda prima e in Danimarca poi è un classico esempio di spillover inverso. Rispetto a quanto accaduto inizialmente, con il passaggio del coronavirus dall'animale all'uomo (clicca qui per scoprire come si diffondono le zoonosi), in questo caso potrebbe essere stato l'uomo a trasmettere l'infezione a un visone. La vita in allevamento potrebbe aver fatto il resto, favorendo la diffusione del contagio tra i mustelidi (famiglia a cui appartengono i visoni). La loro sensibilità ai coronavirus, d'altra parte, è nota già dall'epidemia di Sars del 2003. Di conseguenza tutto lascia pensare che Sars-CoV-2, approdando in Europa, abbia trovato terreno fertile per replicarsi negli allevamenti intensivi dei visoni. E, da lì, tornare a circolare tra uomini sani. I più a rischio, in questa situazione, sono gli allevatori e, più in generale, chi per lavoro entra a contatto con questi animali. I visoni non sono gli unici a essere stati infettati dal nuovo coronavirus. Casi di contagio sono stati rilevati infatti anche tra i felini (leoni, tigri, gatti) e i cani.
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GLI ALTRI CASI DI SPILLOVER INVERSO
«I contatti tra uomo e animali allevati e manipolati sono inevitabili: dunque è da mettere in conto che i virus possano passare dall'animale all'uomo e viceversa», prosegue Redi, che è anche membro dell'Accademia dei Lincei. A confermare che il fenomeno dello spillover inverso non sia una novità è una metanalisi pubblicata nel 2014 sulla rivista scientifica Plos One. Nel corso dei secoli, l'uomo ha trasmesso infatti almeno 37 malattie agli animali. Gli esempi più frequenti rimandano a infezioni di origine batterica (21), seguite da quelle virali (12) e fungine (7). Per esempio, si sa che l'HAV è in grado di provocare l'epatite A anche in primati non umani. Così come gli herpes virus possono infettare marmotte e tamarini. Mentre il batterio della salmonella può contagiare gli animali selvatici e d'allevamento, il virus che provoca la parotite è noto che possa infettare anche i cani. Gli animali selvatici, quelli usati in agricoltura e quelli domestici sono stati finora quelli più di frequente protagonisti di questi casi di spillover inverso.
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IMMUNITA' A RISCHIO?
Al di là del coinvolgimento degli animali nella pandemia, a preoccupare le autorità sanitarie «è il rischio che si registrino continui cambiamenti genetici durante questi passaggi», spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Come chiarito nel documento di valutazione del rischio stilato dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, infatti, «a causa delle differenze biologiche tra i visoni e l’uomo, nel passaggio da una specie all’altra il virus può accumulare delle mutazioni». Queste, secondo gli esperti, «potrebbero avere un impatto sull’efficacia di un eventuale vaccino». Un aspetto di cui tenere conto, a maggior ragione adesso che sembrano essercene tre a un passo dal traguardo: prodotti dalle multinazionali Pfizer, Moderna e Astrazeneca. Senza trascurare che una mutazione del virus potrebbe avere conseguenze anche sull’immunità conferita dal contagio da Sars CoV-2, sulle probabilità di reinfezione e sull'applicabilità degli anticorpi monoclonali in fase terapeutica. Una volta verificatosi lo spillover, il virus trova infatti un ambiente nuovo in cui evolvere. Spiega Redi: «Le mutazioni possono presentarsi come una riduzione della virulenza del virus. O, al contrario, con l’acquisizione di caratteristiche di maggiore aggressività per la specie ospite. Da qui il pericolo, perché i genomi virali mutano ed evolvono velocemente».
COSA ACCADE AGLI ALLEVAMENTI DI VISONE IN ITALIA
Detto ciò, occorre precisare che nessuna notizia a riguardo risulta al momento pubblicata su una rivista scientifica. Il virus in circolazione, dunque, continua a essere lo stesso che (almeno) nove mesi fa ha fatto capolino in Europa, a partire dal nostro Paese. Di fronte a uno scenario non ancora definito, però, l'Italia ha sposato la linea della prudenza. Nel nostro Paese non sono stati trovati visoni infetti con la variante danese del virus. Ma gli allevamenti, per adesso, saranno chiusi. In caso di sospetto di infezione, almeno fino a febbraio, toccherà alle autorità sanitarie locali disporre il sequestro, il blocco della movimentazione di animali, liquami, veicoli e attrezzature e l’avvio dell'indagine epidemiologica attraverso cui risalire all'origine del contagio. In caso di conferma della malattia, i visoni dell’allevamento saranno abbattuti.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).