Le Olimpiadi passate non avuto un grande impatto sulle abitudini della gente (tranne una!). Invece sono un'opportunità da non perdere per promuovere il movimento
Ogni quattro anni (cinque se ci si mette di mezzo una pandemia) le Olimpiadi per alcune settimane compiono un incantesimo su mezzo mondo: accendono la passione per lo sport e anche le discipline meno note conquistano commentatori e tifosi dell’ultima ora. Ma si tratta di una passione da divano, oppure le Olimpiadi hanno un impatto reale sul livello di attività fisica delle persone? Qualcuno se lo è chiesto ed è andato a documentare cosa è successo nei Paesi ospitanti da Barcellona 1992 fino a Tokyo 2020.
LA RICERCA
Mentre nel mondo cresceva la consapevolezza di quanto l’esercizio è importante per la salute individuale e pubblica, anche il movimento olimpico non poteva restarne indifferente. Così nelle edizioni più recenti dei Giochi non sono mai mancati i piani e le proposte per incentivare la pratica sportiva prima, durante e dopo l’evento. Con risultati, nel concreto, piuttosto modesti, tranne alcune eccezioni. A studiare il fenomeno ci ha pensato un team di epidemiologi ed esperti di salute pubblica di varie nazioni, che ha presentato i risultati della ricerca su The Lancet, in una serie speciale dedicata all’attività fisica. Gli autori hanno esaminato la documentazione proposta dalle città candidate, hanno confrontato i dati sulla sorveglianza epidemiologica prima, durante e dopo le Olimpiadi, per Londra 2012 hanno anche raccolto i dati Google trends per saggiare l’andamento dell’interesse verso le tematiche sportive.
BUONE INTENZIONI, POCA PRATICA. TRANNE A PECHINO
Fino al 2007 le città che si candidavano ad ospitare i giochi olimpici non menzionavano l’attività sportiva come obiettivo da raggiungere all’interno della comunità di riferimento. In varie città, fra i lasciti dell’evento restavano strutture sportive (Atlanta 1994, Nagano 1998, Sidney 2000), innovazioni urbanistiche come aree verdi e pedonali (Atlanta, Sidney), infrastrutture per i trasporti (Sidney, Atene 2004), programmi educativi (Torino 2006, con iniziative che hanno coinvolto 600.000 bambini). A partire da Pechino 2008, la volontà di lasciare un’impronta duratura sulla sedentarietà della popolazione è stata messa a regime. Il progetto cinese comprendeva un programma nazionale dedicato alla forma fisica e sottolineava il beneficio dell’esperienza dei Giochi sui cittadini più giovani. Tutte le edizioni delle olimpiadi successive hanno seguito e ampliato questa linea. Dati alla mano, l’unica sede olimpica a centrare l’obiettivo è stata Pechino 2008, dove si sono registrati aumenti significativi del livello di attività fisica nella popolazione cinese adulta. Lo dicono tre grandi indagini nazionali che hanno documentato un aumento della percentuale dei cittadini che soddisfavano le raccomandazioni sul movimento: erano il 17,2 per cento nel 2000 e sono diventati il 22,8 per cento nel 2014. L’aumento è stato uniforme fra i generi e nelle diverse aree di residenza. Un buon incremento era stato registrato anche fra i giapponesi nell’area di Nagano (giochi invernali 1998), ma non è riconducibile all’effetto-olimpiadi, piuttosto è il risultato di politiche efficaci avviate molto prima del periodo preolimpico e non limitate agli sport invernali. A Londra si è osservato un picco di interesse verso l’esercizio fisico, grazie a Google trend, ma la cosa pare essersi fermata alle ricerche su Internet e non ha portato più gente a camminare lungo il Tamigi o entrare in una piscina. Idem dall’altra parte del mondo, dopo Sidney 2000, dove gli uomini australiani hanno dichiarato di essere intenzionati a praticare più movimento, senza però mettere in pratica un granché.
LE RACCOMANDAZIONI
«Di per sé, le Olimpiadi possono non avere migliorato l’attività fisica a livello di popolazione» hanno commentato gli autori. «Ma possono essere un’importante occasione mancata di salute pubblica». In futuro si può fare meglio. Come? Ecco alcune raccomandazioni secondo il team di ricercatori, coordinati da Adrian Bauman, professore alla School of Public Health dell’Università di Sidney.
- non aspettarsi che lo spirito olimpico da solo ispiri la popolazione, ma avviare da molto prima dell’evento una pianificazione strategica che coinvolga una rete di partner affiatati: il Comitato Olimpico Internazionale, le agenzie olimpiche locali, le istituzioni e le società sportive, le agenzie sanitarie;
- sfruttare la pioggia di investimenti che arrivano in vista di un’Olimpiade per portare avanti in parallelo progetti sportivi e di salute pubblica; pianificare eventi sportivi e occasioni di promozione dello sport, avendo massima cura di non focalizzarsi sul gesto eroico del campione o dell’atleta da medaglia, ma promuovendo con la stessa enfasi un’attività fisica moderata per includere tutti e non scoraggiare nessuno;
- comunicazione e promozione non bastano; bisogna cambiare il paesaggio in cui vivono le persone, creare aree pedonali, aree verdi, infrastrutture e impianti sportivi, migliorare i trasporti per supportare e incentivare lo sport di comunità e l’esercizio fisico;
- i Giochi Olimpici sono seguiti da miliardi di persone nel mondo; l’entusiasmo e l’interesse possono essere un volano da non sottovalutare anche per paesi e comunità che non ospitano i Giochi ma che ne possono sfruttare l’onda mediatica ed emotiva; allo stesso modo non esistono solo le Olimpiadi, ma obiettivi analoghi possono essere associati a tutti i grandi eventi sportivi.
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.