Stimolare un bambino con attività «slegate» dal consumo di cibo lo aiuta a sviluppare i sensi della fame e della sazietà. È il primo passo per tenere lontana l'obesità
All’inizio, mangiano per sopravvivenza. Dopodiché, trascorsi i primi mesi dalla nascita, i bambini non si comportano tutti allo stesso modo di fronte al seno materno, al biberon o ai primi assaggi che caratterizzano lo svezzamento. C’è chi è più vorace e consuma un pasto intero nell’arco di un paio di minuti. D’altra parte, invece, ci sono genitori che devono sderenarsi per essere certi che il proprio bambino abbia mangiato a sufficienza. Cosa rende così diverso l’atteggiamento di esseri viventi con pochi mesi di vita al cospetto di un bisogno primario quale la fame? Una differenza notevole, purché occasionale, potrebbe essere spiegata con un momento di scarso (o eccessivo) appetito. Ma quando si è di fronte a un bambino che mangia sistematicamente più del dovuto, la spiegazione potrebbe risiedere nell’ambiente. La tendenza a un consumo vorace dei pasti può essere la conseguenza dell’habitat in cui cresce un bambino. Più stimoli attorno a lui rimandano alla tavola, maggiori sono le probabilità di vederlo mangiare in maniera eccessiva. Con ripercussioni che vanno da una maggiore difficoltà nello sviluppare il senso di sazietà alla tendenza ad accumulare peso in eccesso.
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L'AMBIENTE INFLUISCE SUI COMPORTAMENTI ALIMENTARI
A rimarcare il ruolo che l'ambiente può giocare nell'insorgenza del sovrappeso e dell'obesità infantile, è uno studio condotto da un gruppo di pediatri dell'Università di Buffalo e pubblicato sull'American Journal of Clinical Nutrition. I ricercatori hanno registrato i comportamenti di 143 bambini - 9-18 mesi: nati a termine, allattati almeno inizialmente al seno e normopeso - al fine di valutare la relazione tra l'appetito e gli «stimoli» concessi e capire in che modo il primo influenzi uno specifico indicatore che pone in relazione il peso e l'altezza per valutare la crescita. Scopo del lavoro - in buona sostanza - era quello di verificare quanto i comportamenti che un bambino registra con maggiore frequenza attorno a sé abbiano un impatto sul suo comportamento alimentare. E, a seguire, sulla salute. I risultati emersi - contando sulle risposte fornite dalle mamme a un questionario sui comportamenti alimentari e sulle rilevazioni antropometriche - sono eloquenti. L'appetito e il peso corporeo tendono ad aumentare se lontano dai pasti un bambino riceve uno o più stimoli legati al cibo. Al contrario, i lattanti meno avvezzi a mangiare sono coloro che, quando non sono chiamati a nutrirsi, vengono impegnati con attività che «allontanano» il pensiero della fame.
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EVITARE LE «RICOMPENSE» SOTTO FORMA DI CIBO
I risultati sono in linea con quelli di un'altra ricerca pubblicata nel 2016 sulla rivista Obesity e richiamano l'attenzione sull'importanza di educare i bambini a instaurare un rapporto corretto con il cibo: fin dai primi mesi di vita. A partire dal divezzamento, infatti, i lattanti svolgono una serie di attività. La necessità di nutrirsi è sempre viva, ma la giornata inizia a essere scandita anche da altri compiti. Dare il giusto peso a queste attività - guardare la tv, fare le bolle di sapone e ascoltare musica quelle considerate nello studio - permette a un bambino di percepire gli stimoli della fame e della sazietà. «Così facendo - spiegano i ricercatori - si inizia a far capire la differenza tra l'atto del mangiare per necessità e quello invece legato al solo piacere». E si evita che le «ricompense» elargite sotto forma di cibo prevalgano sulla regolazione dell'appetito. Cosa che, nella pratica, rischia di tradursi con la difficoltà nel far consumare a un bambino i pasti principali, se pochi minuti prima si è assecondato un suo desiderio legato al cibo.
L'EDUCAZIONE ALIMENTARE UN INVESTIMENTO PER LA SALUTE
L'obesità - in Italia un problema per quasi 2 bambini su 10 - è una malattia multifattoriale. Alla base non c'è mai una sola causa e un ruolo tutt'altro che trascurabile ce l'ha - peraltro - la genetica. Detto ciò, su alcuni fattori di rischio è possibile intervenire in chiave preventiva. Per esempio, educando i bambini a una corretta alimentazione fin da piccoli. Ricordando che «l'obesità nel primo anno di vita aumenta la probabilità che la condizione permanga anche nel corso dell'età adulta», con i diversi rischi a cui risulterebbe esposta la salute (invecchiamento precoce, peggiore salute cardiovascolare, aumentato rischio oncologico), i ricercatori sottolineano l'efficacia di «un intervento comportamentale mirato a evitare la creazione di un ambiente volto a un maggiore consumo di cibo». I genitori che si sforzano di far svolgere attività stimolanti ai più piccoli, in altre parole, stanno già investendo sulla loro salute. Così facendo, sarà meno probabile che un figlio si ritrovi a mangiare per assecondare una condizione emotiva, piuttosto che la fame.
Fonti
Infants with big appetites: The role of a nonfood environment on infant appetitive traits linked to obesity, The American Journal of Clinical Nutrition
Origins of food reinforcement in infants, American Journal of Clinical Nutrition
Reducing relative food reinforcement in infants by an enriched music experience, Obesity
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).