Dopo il caso dell'uomo morto di fame a Ivrea, i consigli per "ripulire" l'organismo in maniera equilibrata. Via libera al consumo di frutta e verdura
Morto di fame per portare completare un «percorso di detossificazione». Di fronte a questo quadro si è trovato il medico legale che, in provincia di Ivrea, ha constatato la morte di Alain René Francois Fourré, 61 anni, pensionato originario di Niort, in Francia. A stroncare la sua vita la scelta di digiunare senza sosta nelle ultime tre settimane. Via libera soltanto ad acqua e tisane. Fino alla morte, pressoché inevitabile. «Il digiuno parziale e periodico ha delle valide ragioni: medico-scientifiche e religiose. Ma se persistente e contro ogni evidenza di realtà, è sintomo di anoressia nervosa o di un disturbo ossessivo con caratteristiche psicotiche», spiega Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare del San Raffaele di Milano. «Purtroppo queste persone non arrivano quasi mai all’osservazione dello specialista».
Come si manifesta questa condizione?
«Con la completa perdita di contatto con la realtà. Il paziente era convinto che più tempo avesse trascorso a digiuno, maggiore sarebbe stato il beneficio per il proprio organismo».
In questo caso non è corretto parlare di anoressia, quindi?
«No perché la persona ha mangiato regolarmente, fino a un certo momento della sua vita. Dopo è subentrata la convinzione che un digiuno prolungato favorisse un miglioramento dello stato di salute. Più che di anoressia, dunque, converrebbe parlare di una forma molto accentuata di ortoressia. Ovvero: quel disturbo del comportamento alimentare che porta a un’attenzione spropositata nei confronti dell’alimentazione».
C’è differenza nella tolleranza al digiuno tra uomo e donna?
«Diverse ricerche evidenziano come l’uomo sia meno tollerante. In questa storia può aver influito anche l’età: a 61 anni la capacità di resistere al digiuno è inferiore rispetto a quella di un giovane».
“Detossificarsi” è quasi una moda, ormai: cosa vuol dire?
«L’uomo vive in un sistema energetico aperto, in cui scambia costantemente sostanze con l’ambiente. Liberarsi delle tossine è possibile e opportuno, quando ci si rende conto che si assorbono dall’ambiente, attraverso l’aria e la dieta, più inquinanti di quanti se ne rilascino. Nulla, però, che autorizzi l’assunzione di comportamenti così drastici».
Quando è necessario “purificarsi”?
«Se ci si accorge che il nostro organismo non è più in grado di eliminare le tossine da solo, vuol dire che il carico di inquinanti ambientali è troppo alto. Occorre innanzitutto valutare se non sia il caso di cambiare le proprie condizioni di vita: città, mezzi di trasporto, stili di vita e abitudini alimentari».
Quali accorgimenti si possono adottare a tavola?
«Aumentare l’apporto di vegetali e ridurre le fonti di proteine animali. Conviene inoltre limitare il consumo di alimenti ricchi di grassi, eccessivamente lavorati a livello industriale ed cotti a elevate temperature. Le “croste” che si formano sui cibi sono buone, ma ricche di sostanze ossidanti».
Il corpo umano riesce a “ripulirsi” da solo o necessita dell’apporto di sostanze esterne?
«Tutte le superfici a contatto con l'esterno - cute, apparato digerente e respiratorio - sono in grado di agire da “filtro” in maniera intelligente. Per non parlare del lavoro certosino che svolgono fegato e reni, oltre al sistema immunitario: in grado di captare ed eliminare tutto ciò che ritiene estraneo e nocivo per l’organismo. Quanto al potere antiossidante, tutte le cellule ne sono fornite. Questo può essere amplificato con la dieta, ma senza ricorrere a pillole o integratori. Non sarà di certo un beverone a base di tarassaco a renderci più sani».
Per quali ragioni il digiuno prolungato può portare alla morte?
«In questi casi il decesso avviene quasi sempre per arresto cardiaco. Ma in uno stato di estrema debolezza si ha una perdita di funzionalità del sistema immunitario. Di conseguenza anche una semplice infezione, a opera di un fungo o di un batterio, può risultare fatale».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).