Nelle persone con tumore alla prostata in terapia ormonale la qualità di vita migliora se si svolge una regolare attività fisica
Nel tumore della prostata l'esercizio fisico regolare in chi è in terapia ormonale migliora la qualità di vita, la sensazione di fatica e le performance fisiche. E' questo, in estrema sintesi, il messaggio che emerge da uno studio publicato dalla rivista BJU international. Un risultato che conferma ancora una volta l'importanza non solo delle terapie farmacologiche ma anche degli stili di vita da adottare durante le terapie.
RALLENTARE IL TUMORE CON LA TERAPIA ORMONALE
Il tumore della prostata rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate tra gli uomini a partire dai 50 anni di età. Secondo gli ultimi dati AIOM quest'anno in Italia saranno 37 mila i nuovi casi diagnosticati. Una delle possibili strategie di cura, insieme a chirurgia e radioterapia, è rappresentata dalla terapia ormonale. Il tumore infatti per crescere ha bisogno dell'azione del testosterone prodotto dai testicoli. Obbiettivo della terapia ormonale è quello di bloccare o quantomeno ridurre l'azione del testosterone per limitare la crescita tumorale.
GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA DEPRIVAZIONE ORMONALE
Pur essendo una valida terapia, quella ormonale -andando ad agire sulla produzione di testosterone- porta con sé alcuni effetti collaterali come la perdità della massa muscolare, l'aumento della fatica percepita e un lieve aumento del rischio cardiovascolare dovuto al peggioramento delle performance fisiche. Ecco perché poter ridurre gli effetti della terapia ormonale è di fondamentale importanza per una buona qualità di vita. Una possibile via è rappresentata dall'attività fisica.
L'ATTIVITA' FISICA RIDUCE L'IMPATTO DELLE CURE
Nello studio gli scienziati della University of Northumbria di Newcastle (Inghilterra) hanno coinvolto 50 pazienti con tumore della prostata prossimi ad iniziare la terapia ormonale. A metà di loro è stato prescritto dell'esercizio fisico in maniera controllata (2 sessioni di esercizio a settimana, ciascuna della durata di circa 60 minuti), all'altra metà nessuna indicazione circa il movimento da effettuare. Non solo, sempre al primo gruppo, in aggiunta alla sessione di allenamento svolta con gli specialisti, i pazienti venivano incoraggiati a incrementare il loro livello di attività fisica dedicandosi 3 volte a settimana a 30 minuti di sport gestito in totale autonomia. A tre mesi dall'inizio delle terapie, in chi aveva sostenuto un programma di allenamento si sono registrati notevoli progressi nei parametri cardiovascolari, in quelli muscolari e una riduzione significativa della stanchezza associata alle terapie che si è tradotta in una migliore qualità di vita.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.