La Tac spirale nei forti fumatori permette di scoprire un tumore del polmone in fase iniziale. Durante lo screening, però, si perde l'occasione per aiutare i pazienti a smettere di fumare
Lo screening con la Tac spirale nei forti fumatori può allungare la vita, se durante l'esame chi si sottopone scopre di avere un tumore del polmone: prima causa di morte per tumore, tanto a livello mondiale quanto in Italia (oltre 35mila le vittime conteggiate ogni anno nel nostro Paese, in ambo i sessi).
L'ultima prova a supporto dell'indagine mirata ad avere una diagnosi precoce della malattia arriva dal congresso mondiale sulle neoplasie polmonari, appena conclusosi a Toronto.
Lo screening con la Tac toracica a basso dosaggio è in grado di ridurre fino al 26 per cento la mortalità nei primi dieci anni di osservazione: tanto negli uomini quanto nelle donne.
Un obiettivo in linea con quello fissato all'inizio dello studio: il riscontro di una flessione della mortalità pari almeno al 25 per cento.
COME SI VALUTA LA SALUTE DEI POLMONI?
NUOVI DATI A SOSTEGNO DELLO SCREENING
In Canada sono stati presentati gli ultimi risultati dello studio «Nelson», che ha confermato i dati favorevoli già raccolti negli Stati Uniti (pubblicati nel 2011 sul New England Journal of Medicine), dove lo screening per il tumore del polmone viene offerto gratuitamente a tutti i grandi fumatori ed ex fumatori.
La ricerca, presentata da Harry De Koning, docente di salute pubblica all'università di Rotterdam, ha visto il coinvolgimento di quasi sedicimila olandesi, tutti forti fumatori: adulti e anziani (50-75 anni), con alle spalle almeno venticinque (15 sigarette al giorno) o trenta (10 sigarette al giorno) anni trascorsi fumando.
I ricercatori li hanno suddivisi (in maniera casuale) in due gruppi: coloro che erano inseriti nel primo sono stati «monitorati» con la Tac spirale (all'inizio e poi dopo un uno, tre e cinque anni e mezzo), gli altri in nessuna maniera.
Osservando il decorso dei tumori diagnosticati, gli studiosi hanno rilevato una significativa riduzione della mortalità nei pazienti in cui la malattia era stata diagnosticata attraverso la Tac a basso dosaggio. Dati confermati anche da uno studio italiano («Mild»), in cui il programma randomizzato di screening è stato portato avanti per dieci anni. Questo ha permesso di ottenere un drastico calo nel numero dei decessi (-39 per cento).
LA DIAGNOSI PRECOCE PUO' SALVARE LA VITA
Il risultato è dovuto all'anticipazione delle diagnosi, che ha permesso di riscontrare il settanta per cento dei nuovi casi di malattia agli stadi 1A e 1B: tumori di dimensione quasi sempre contenuta, che non hanno ancora colpito i linfonodi né generato metastasi a distanza.
Come tali, dunque, rispondono meglio alle terapie. «La chirurgia, in assenza di metastasi o di un rischio operatorio eccessivo per il paziente, è sempre il trattamento di prima scelta - afferma Erino Angelo Rendina, direttore dell'unità di chirurgia toracica dell'azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea di Roma -. Chemioterapia, radioterapia, terapia biologica e terapie mirate possono invece, essere utilizzate prima, per ridurre la massa tumorale e rendere il carcinoma operabile, o dopo l'intervento, per prevenire il rischio di recidiva».
La maggiore probabilità di esito positivo delle cure, secondo De Koning, «dimostra l'efficacia della Tac spirale per valutare l'evoluzione dei noduli polmonari nelle persone che convivono con un alto rischio di ammalarsi di cancro del polmone».
MA LO SCREENING NON SAREBBE PER TUTTI
In Europa - nonostante la piaga del fumo di sigaretta rimanga costante - l'esame non è ancora entrato a far parte della pratica clinica (come invece accade per la mammografia con il tumore al seno, la ricerca del sangue occulto nelle feci per quello del colon-retto e il Pap test o la ricerca del Dna del papillomavirus per le neoplasie della cervice uterina) e di conseguenza non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale.
Alla base della mancata scelta c'è il timore dell'eccesso di «falsi positivi» - di fatto dei falsi allarmi - che potrebbero determinare il ricorso a un eccessivo trattamento di noduli a lenta crescita e indolenti. L'eventualità, è quanto emerso nel corso del congresso di Toronto, esiste. Ma i tassi, per dirla con De Koning, «sono bassi rispetto ai benefici che possono derivare in termini di guarigione, per una malattia che diversamente rischierebbe di avere un esito infausto».
Secondo Giulia Veronesi, responsabile della sezione di chirurgia robotica dell'unità di chirurgia toracica all'Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e membro del comitato scientifico di No Smoking Be Happy, «lo screening per il tumore del polmone non è per tutti, ma la sua utilità per alcune fasce della polazione a rischio è ormai fuori discussione. Quando la malattia viene scoperta e trattata in uno stadio iniziale, la guarigione si può raggiungere anche nel 90 per cento dei casi».
PRIMO PASSO: SMETTERE DI FUMARE
Indipendentemente dall'efficacia dello screening, il primo passo da compiere per ridurre il rischio di ammalarsi di tumore del polmone è smettere di fumare, dal momento che otto diagnosi su dieci sono determinate proprio dalle sigarette.
Il beneficio andrebbe ricercato a maggior ragione tra i fumatori, con un counseling specifico che potrebbe essere avviato proprio in concomitanza con l'accesso a un programma di screening. L'esperienza portata avanti a Toronto, descritta in occasione del congresso, è stata positiva.
L'88 per cento dei pazienti inseriti nel programma di diagnosi precoce con Tac spirale, in occasione del primo controllo, ha avuto modo di colloquiare anche con gli esperti del centro antifumo.
La quasi totalità s'è rivelata soddisfatta dell'assistenza ricevuta. Segno che un approccio empatico, contando sulla motivazione di una persona che entra in ospedale per sottoporsi a uno screening, può allontanare un fumatore dalla dipendenza. «In Italia non esistono percorsi così integrati - ammette Lorenzo Bonomo, direttore dell’unità operativa complessa di radiologia del policlinico Gemelli di Roma -.
Ma è indubbio che un approccio di questo tipo, sebbene non previsto nemmeno nelle linee guida dei Paesi che hanno già adottato lo screening per il tumore del polmone, sarebbe efficace». Per il momento, ai pazienti che volontariamente entrano a far parte dei programmi disponibili in Italia (oltre al Gemelli, anche al Campus Biomedico di Roma e all'Humanitas e all'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano), viene soltanto fatta presente la possibilità di rivolgersi (in un secondo momento) ai centri antifumo presenti negli stessi ospedali. Ma i programmi appena partiti nelle due strutture milanesi (il progetto SMAC è finanziato anche dalla Fondazione Umberto Veronesi) puntano a occuparsi anche del supporto psicologico e del trattamento farmacologico per aiutare chi sceglie di sottoporsi allo screening a smettere fumare.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).