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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 30-08-2013

Trapianti: la ricerca italiana contro il rigetto



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Messo a punto un protocollo sperimentale per ridurre gli effetti indesiderati delle terapie immunosoppressive che apre nuove speranze per i trapiantati. I risultati al congresso ICI2013 di Milano

Trapianti: la ricerca italiana contro il rigetto

Dopo un lungo calvario che può durare anni l’insidia numero uno per un paziente appena trapiantato è rappresentata dal fenomeno del rigetto.

Un’eventualità, nonostante la ricerca di donatori compatibili, che costringe chi accoglie il nuovo organo a sottoporsi per tutta la vita alle terapie anti-rigetto non prive di effetti collaterali.

Oggi però qualcosa potrebbe cambiare: uno studio presentato al congresso ICI 2013 di Milano, il più importante convegno internazionale dedicato all’immunologia, sembrerebbe aprire nuove interessanti prospettive che un giorno potrebbero consentire ai pazienti trapiantati di evitare tutti gli effetti indesiderati della terapia con farmaci immunosoppressivi.

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IL RIGETTO

Il successo dei trapianti d’organo si deve principalmente a due fattori. Il primo riguarda il miglioramento delle tecniche chirurgiche, il secondo alla scoperta del fenomeno del rigetto. Proprio grazie alla comprensione di quest’ultimo, e al relativo sviluppo di molecole in grado di limitarlo, la storia dei trapianti d’organo ha subito una svolta.

Alla base di questo fenomeno vi è un’alterata risposta immunitaria. L’organo trapiantato viene riconosciuto dal nostro sistema come un corpo estraneo e quindi viene attaccato.

Ecco perché, oltre a dover trovare un donatore il più possibile compatibile, ad oggi vengono somministrati per tutta la vita dei farmaci in grado di spegnere, seppur parzialmente, la risposta immunitaria. Una strategia non priva di effetti collaterali come lo sviluppo di continue infezioni.

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LO STUDIO

Proprio in ragione di ciò da diverso tempo sono allo studio nuove tecniche volte a limitare sia i fenomeni di rigetto sia gli effetti collaterali delle terapie immunosoppressive. Il gruppo dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica guidato da Maria Grazia Roncarolo ha presentato al congresso milanese nuovi dati che confermano anche nei pazienti i dati ottenuti in laboratorio e pubblicati pochi mesi fa sull’importante rivista Nature Medicine.

La linea di ricerca si inserisce in un approccio antirigetto molto più mirato di quello attualmente in uso perché, invece di sopprimere tutto il sistema immunitario, usa particolari cellule regolatrici, chiamate Tr1, per bloccare solo la risposta che si rivelerebbe dannosa in quel particolare caso. «Queste cellule - spiega la Roncarolo - possono essere utilizzate in modo da insegnare all’organismo a tollerare l’organo trapiantato, per esempio, oppure tessuti contro cui si sono scatenate reazioni autoimmuni, come nel caso del diabete di tipo 1». La strategia è stata già sperimentata in una condizione purtroppo frequente dopo i trapianti di midollo osseo, in cui sono proprio le cellule del sistema immunitario del donatore, infuse nel paziente per esempio per curare leucemie e linfomi, ad aggredire il paziente, e che per questo è chiamata “graft versus host disease”, malattia del trapianto verso l’ospite.

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IL FUTURO 

«Ma ci sono molte altre potenziali applicazioni terapeutiche per le cellule Tr1, che inducono una tolleranza specifica e mirata lasciando all’organismo la capacità di difendersi da virus e batteri» prosegue la Roncarolo. Le cellule regolatrici Tr1 usate dal gruppo milanese non sono le uniche che possono indurre una tolleranza specifica.

Molti altri laboratori in tutto il mondo stanno seguendo altri tipi di cellule per raggiungere lo stesso obiettivo, che potrebbe permettere di liberare i pazienti trapiantati dagli effetti collaterali della terapia immunosoppressiva e guarire quelli colpiti da malattie autoimmuni o autoinfiammatorie. «Le diverse strategie saranno messe a confronto in un grande studio europeo, chiamato The one study, che le metterà alla prova su pazienti sottoposti a trapianti di rene con caratteristiche molto simili tra loro» conclude la Roncarolo.

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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