Probabilmente sì, a patto di caratterizzare in maniera accurata ogni singolo caso di malattia. Anche la ricercatrice Giulia Bertolini al lavoro per fare luce sulla possibilità di curare il rabdomiosarcoma con l'immunoterapia
Quali prospettive può garantire l'immunoterapia, oggi considerata l'ultima frontiera della lotta ai tumori dell'adulto, quando ad ammalarsi è un bambino o un adolescente? È a questa domanda che ha provato a rispondere uno studio condotto dal reparto di pediatria oncologica dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in collaborazione con il gruppo di ricercatori della genomica tumorale. Alla ricerca, coordinata da Patrizia Gasparini e finanziata dall’Associazione Bianca Garavaglia onlus, ha partecipato anche Giulia Bertolini (finanziata per il secondo anno consecutivo dalla Fondazione Umberto Veronesi, su un progetto però rivolto al tumore del polmone). Lo studio, pubblicato sulla rivista Bmc Cancer, s'è focalizzato sul rabdomiosarcoma, un tumore dei muscoli raro (circa 350 casi all'anno in Europa) che colpisce principalmente i bambini. «Il trattamento del rabdomiosarcoma consiste in un approccio combinato di chemioterapia, chirurgia e radioterapia - afferma Andrea Ferrari, oncologo pediatra, coordinatore per l’Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica (Aieop) e membro del comitato scientifico della Fondazione Umberto Veronesi) -. Oltre tre pazienti su quattro possono guarire con queste terapie, ma esistono sottogruppi di pazienti, come quelli colpiti da un rabdomiosarcoma alveolare, la cui prognosi è ancora molto incerta e per cui è necessario trovare nuove strategie di cura. Potenziare la risposta immunitaria può essere uno di questi nuovi approcci».
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IL RUOLO DELLA PROTEINA PD-L1
Per avere una prima valutazione necessaria per poi provare a esplorare approcci di immunoterapia, i ricercatori hanno misurato la presenza di PD-L1 in 25 tessuti tumorali prelevati nel corso dell'esame istologico condotto su piccoli pazienti colpiti da un rabdomiosarcoma. Che cos'è PD-L1? Si tratta di una proteina di superficie che inibisce la risposta immunitaria e che viene utilizzata come bersaglio nelle persone affette da una malattia autoimmune (nei casi di trapianto, per esempio, per evitare il rigetto) e nel corso della gravidanza (per evitare che alcuni anticorpi aggrediscano il feto). Come mai è così importante misurarne i livelli nel tessuto di un tumore? Perché «disattivare» PD-L1 è una delle chiavi per riattivare la risposta del nostro sistema immunitario contro il tumore. Sfruttando questo meccanismo d'azione, si sono finora ottenuti risultati incoraggianti contro diversi tumori solidi che colpiscono gli adulti: come il melanoma, le neoplasie renali e del polmone.
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SINTOMI PRESTARE ATTENZIONE?
COME AZIONARE IL SISTEMA IMMUNITARIO?
Per migliorare le probabilità di cura per i pazienti con rabdomiosarcoma, è possibile pensare a una progressiva introduzione dell'immunoterapia nella pratica clinica? «In alcuni casi selezionati si potrebbe ricorrere alla combinazione della chemioterapia con i farmaci noti come inibitori del checkpoint immunitario PD-1, progettati per potenziare il nostro sistema immunitario al fine di ristabilire la risposta immunitaria contro il tumore - dichiara Michela Casanova, responsabile degli studi di fase 1 e 2 della pediatria oncologica dell'Istituto dei Tumori -. La ricerca ha mostrato dati preliminari potenzialmente interessanti. La proteina PD-L1 è presente nel 60 per cento dei campioni esaminati: non nelle cellule neoplastiche, ma in quelle del sistema immunitario presenti nel microambiente tumorale. La frequenza delle cellule immuni che esprimono PD-L1 è inoltre più elevata nei pazienti già trattati con farmaci chemioterapici: potrebbero essere loro i soggetti idonei per l’immunoterapia».
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SCENARI FUTURI
L'interesse, nel caso specifico, è rivolto a un sottotipo di rabdomiosarcoma (alveolare): meno frequente (venti per cento dei casi), ma più spesso resistente alla chemio e alla radioterapia e votato a generare recidive e metastasi (meno di un paziente su tre è vivo a cinque anni dalla diagnosi). Ma per pensare a studi clinici futuri mirati a valutare il ruolo dell'immunoterapia nel rabdomiosarcoma, è indispensabile potenziare gli studi biologici pre-clinici e valutare la presenza o meno dei target specifici. «L’immunoterapia funziona in alcuni tipi di tumori dell’adulto, ma a oggi non ci sono ancora dati clinici disponibili per i tumori pediatrici, in particolare il rabdomiosarcoma - chiosa Casanova -. Abbiamo ancora tanta strada da fare, ma le premesse sono interessanti».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).