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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 19-09-2018

L'immunoterapia non sempre funziona contro il tumore del polmone



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A rispondere meglio all'immunoterapia sono i linfociti T più giovani. La scoperta servirà a mettere a punto cellule in grado di migliorare la risposta ai tumori

L'immunoterapia non sempre funziona contro il tumore del polmone

Perché l’immunoterapia risveglia solo alcuni tipi di cellule del sistema immunitario, «azionandole» contro il tumore? Quali sono le caratteristiche delle cellule T che vengono riattivate da queste terapie? A queste domande risponde uno studio pubblicato sulla rivista The Journal of Experimental Medicine, a cui hanno preso parte anche due ricercatori sostenuti nel 2017 dalla delegazione di Vibo Valentia della Fondazione Umberto Veronesi: la biotecnologa Emilia Maria Cristina Mazza e il chirurgo toracico Pierluigi Novellis

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COME FUNZIONA L'IMMUNOTERAPIA?

L’immunoterapia con anticorpi che bloccano i «checkpoint» immunitari sta cambiando in maniera significativa la storia clinica di diversi tipi di tumore, fra cui alcuni tipi di cancro del polmone: consentendo di aumentare la sopravvivenza dei pazienti. Non tutti i linfociti T, però, sembrano rispondere allo stesso modo ai farmaci. La ricerca ha chiarito che sono i più giovani in realtà quelli più efficaci da azionare contro il cancro. I cosiddetti «checkpoint» sono freni naturali del nostro sistema immunitario. Il nostro apparato di difesa è un po’ come un'automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità. Per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori, che la facciano partire e correre, ma anche di freni (i «checkpoint», appunto), che le consentano di rallentare e, quando è il caso, fermarsi. L’immunoterapia agisce togliendo questi freni e risvegliando particolari cellule immunitarie, i linfociti T, che all’interno del tumore sono come «narcotizzati» dalla malattia. 

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LA DIFESA DALLE CELLULE PIU' GIOVANI

Nello studio, sono stati presi in esame 53 pazienti colpiti da un tumore del polmone non a piccole cellule e sottoposti all'intervento chirurgico. Lavorando sui campioni istologici, i ricercatori sono riusciti a definire le proprietà immunitarie delle cellule T che esprimono il «checkpoint» PD-1.«Abbiamo dimostrato che queste cellule non sono tutte uguali, ma sono organizzate in gerarchia - afferma Enrico Lugli, responsabile del laboratorio di immunologia traslazionale dell'Istituto Clinico Humanitas di Milano e coordinatore della ricerca -. Le più giovani, identificate dal recettore di membrana CXCR5, rimangono funzionali e sono potenzialmente in grado di esercitare una potente attività anti-tumorale. Mentre le più differenziate, che sono poi le più anziane, perdono tale capacità. L’ipotesi, dunque, è che con l’immunoterapia vengano risvegliate soprattutto le prime». 


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VERSO NUOVI FARMACI?

Per il futuro, la sfida è identificare i segnali molecolari alla base della generazione e del mantenimento di queste cellule, così da utilizzare le informazioni per generare in laboratorio cellule T in grado di migliorare la risposta ai tumori. «Comprendere i meccanismi di risposta immunitaria al tumore del polmone è alle base dello sviluppo di farmaci sempre più efficaci per riattivare le nostre difese verso la malattia - commenta Giulia Veronesi, responsabile della sezione di chirurgia robotica dell'unità di chirurgia toracica dell'Humanitas e membro del comitato scientifico del progetto No Smoking Be Happy della Fondazione Umberto Veronesi, che prevede l'organizzazione di attività educative e campagne di comunicazione per informare e sensibilizzare sui danni del fumo -. Oggi abbiamo a disposizione un tassello in più per comprendere su quale sottogruppo di cellule agire», chiosa la specialista, che ha coordinato il progetto assieme a Lugli.

IL FUTURO DELLA MEDICINA PERSONALIZZATA

In calce al lavoro, compare la firma anche dei due ricercatori calabresi sostenuti dalla Fondazione Umberto Veronesi. «Questa sottopopolazione di linfociti può essere considerata utile come un fattore prognostico e un possibile bersaglio terapeutico - dichiara Emilia Maria Cristina Mazza, con un dottorato in medicina molecolare e un'esperienza al Jackson Memorial Hospital di Miami alle spalle -. Si tratta di una scoperta che irrobustisce il filone della medicina personalizzata, basata sulle caratteristiche uniche di un paziente e del suo tumore». 
 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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