Il trattamento combinato di radioterapia e chemioterapia ha portato al 40% il tasso di sopravvivenza a due anni dalla diagnosi. Di fondamentale importanza anche il ruolo del gene Mgmt.
Per il glioblastoma, la più aggressiva fra le neoplasie del sistema nervoso centrale, la sopravvivenza negli ultimi tre anni è quadruplicata, passando dal dieci per cento con la sola radioterapia al quaranta per cento con i nuovi trattamenti combinati a due anni dalla diagnosi.
I dati emergono da uno studio condotto da Alba Brandes, direttore dell'unità operativa complessa di Oncologia dell'ospedale Bellaria-Maggiore di Bologna.
Perchè è un tumore così aggressivo?
L'aggressività di questo tipo di neoplasia è legata a diversi fattori. Innanzitutto alle elevate capacità delle cellule di glioblastoma di muoversi e infiltrare il tessuto cerebrale sano.
E’ inoltre in grado di produrre sostanze capaci di richiamare vasi sanguigni (e di conseguenza anche ossigeno e sostanze nutritive) all'interno del tumore in modo da crescere rapidamente ed è frequentemente resistente a diversi agenti chemioterapici.
Inoltre, al di là delle cause biologiche bisogna ricordare che trattandosi di un tumore che cresce all'interno di un organo nobile come l'encefalo anche la chirurgia non può spingersi molto al di là dei margini chiaramente visibili fra tumore e tessuto sano.
Ciò comporta che molto frequente alcune cellule tumorali infiltranti non vengano eradicate dall'intervento chirurgico
Quali erano i trattamenti principali per la cura di questo tumore prima della vostra recente pubblicazione?
Il trattamento cardine per il trattamento dei glioblastomi è costituito da una terapia integrata che combina radioterapia e chemioterapia.
Dopo una prima fase di trattamento concomitante seguono cicli mensili di chemioterapia.
In passato troppo frequentemente questo trattamento, l’unico che ha dimostrato di poter allungare significativamente la sopravvivenza dei pazienti affetti da glioblastoma, veniva precocemente interrotto alla luce di quadri radiologici di sospetta recidiva di malattia, e venivano iniziati trattamenti differenti, generalmente più tossici e meno efficaci.
Ma grazie al nostro studio attualmente c’è molta più precauzione nell’interrompere questa terapia.
Quali sono le conoscenze aggiunte dal vostro lavoro?
Il nostro lavoro ha dimostrato che dopo la chemio-radioterapia possono verificarsi dei quadri radiologici che simulano delle ricrescite di malattia.
Frequentemente però queste immagini alla risonanza magnetica cerebrale non rappresentano vere recidive, bensì degli effetti precoci della che mio-radioterapia. Inoltre la conoscenza di una particolare caratteristica genetica del tumore, chiamata metilazione del gene Mgmt, ha permesso di individuare più facilmente questi quadri, denominati pseudoprogressioni.
Ciò è stato di fondamentale importanza, perché proseguire un trattamento efficace nei casi di pseudoprogressione ha dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza dei pazienti.
E il ruolo del gene Mgmt?
Il gene Mgmt è responsabile della produzione di una proteina in grado di riparare i danni che radio e chemioterapia provocano nel tumore.
La metilazione è un meccanismo biologico di spegnimento del gene, che quindi non produce più la proteina riparatrice.
I tumori con metilazione di Mgmt sono quindi più sensibili ai trattamenti e questa maggiore sensibilità si traduce in una sopravvivenza più lunga dei pazienti.
C'è una spiegazione alla maggior sopravvivenza da parte delle donne?
Ad oggi non ancora. Non è chiaro se vi siano alterazioni peculiari a carico del cromosoma X o se le cause siano da ricercarsi in altre zone del Dna delle donne. Non si sa inoltre se possano esserci effetti legati al metabolismo che possano giustificare questo riscontro.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.