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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 09-06-2016

Glioblastoma multiforme: speranze dalla terapia genica?



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Risultati promettenti per ora in vitro e su modello animale. Nelle cellule malate inserito un gene “killer”. Potrebbe servire a combattere le recidive del più aggressivo tumore cerebrale

Glioblastoma multiforme: speranze dalla terapia genica?

Usare la terapia genica per curare il glioblastoma multiforme, il più aggressivo tumore cerebrale, è un’ipotesi affascinante e futuribile, che inizia però a raccogliere i primi incoraggianti riscontri. Può essere riassunto così il messaggio che emerge da uno studio italiano, condotto dai ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) e pubblicato sulla rivista Oncotarget. Sia chiaro: nessuna nuova soluzione è prossima allo sbarco nella pratica clinica. Ma considerando la scarsa risposta alle cure finora dimostrata dalla neoplasia, le evidenze che giungono da Trieste consegnano una speranza in più ai quasi 2.500 italiani che ogni anno si scoprono affetti dalla malattia. 


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INSERITO UN GENE «KILLER»

I ricercatori hanno usato un approccio radicalmente diverso nei confronti del glioblastoma multiforme. La malattia, trattata quasi sempre con chirurgia seguita da radioterapia o da chemioterapia, è caratterizzata da un’alta frequenza di recidiva che finisce per condizionare la prognosi dei pazienti. Nell’ultimo studio il metodo è stato ribaltato per cercare una soluzione alla frequente ricomparsa della neoplasia. Attraverso un vettore virale reso innocuo, nelle cellule malate - in vitro e in vivo, su modello animale - è stata inserita la copia di un gene (Emx2) in grado di indurle alla morte cellulare. L’idea è nata dal fatto che il gene Emx2 , durante la crescita embrionale, controlla la proliferazione degli astrociti, cellule di «sostegno» del sistema nervoso centrale «il cui sviluppo inizia quando la crescita neuronale è finita», dichiara Carmen Falcone, ricercatrice in genomica funzionale e strutturale e prima firma della pubblicazione. «Il gene Emx2 si esprime a livelli molto alti nella fase di generazione dei neuroni, in questo modo tiene a bada la crescita degli astrociti». Da qui l’idea di metterlo alla prova per provare a «silenziare» lo sviluppo del glioblastoma, tumore composto da un insieme di cellule astrocitiche poco differenziate.

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GLIOBLASTOMA COLPITO IN SEI PUNTI

I risultati preclinici «sono andati oltre le più rosee aspettative: per quasi tutti i campioni, in meno di una settimana, il tessuto tumorale è collassato», commenta il biologo molecolare Antonello Mallamaci, coordinatore dello studio. L’analisi dei meccanismi molecolari che intercorrono tra l’«accensione» del gene terapeutico e l’effetto finale ha svelato che questo attacca il metabolismo del tumore in sei punti. Un’osservazione ritenuta cruciale per poter aggredire anche le frequenti recidive che rappresentano il più grande ostacolo alla cura della malattia. Il gruppo ha poi iniziato i primi esperimenti in vivo. Sulle cellule tumorali dei topi l’effetto ottenuto è stato il medesimo di quello osservato in vitro: senza danno nei confronti delle cellule sane. La risposta è stata la medesima nei confronti delle quattro variabili molecolari di glioblastoma oggi note.


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NON E’ ANCORA UNA CURA PRONTA ALL’USO

Riccardo Soffietti, direttore dell’unità operativa di neuroncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, definisce il risultato «incoraggiante, per quanto a livello preclinico il tumore risulti molto semplificato rispetto a quello che osserviamo nell’uomo. Oltre alle differenze morfologiche, oggi sappiamo che i tassi di sopravvivenza della malattia dipendono in gran parte dal suo profilo molecolare. Da questa eterogeneità occorre partire nella messa a punto delle nuove terapie». Anche questo tumore, come tutti gli altri, ha un’origine multifattoriale. Per cui fino a quando non si conosceranno le mutazioni essenziali per la crescita della malattia, come di recente avvenuto per la leucemia mieloide cronica e per i tumori solidi tra cui il melanoma e il tumore al seno, «difficilmente avverrà una svolta nelle cure nell’uomo».


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LA TERAPIA GENICA DEI TUMORI

Applicare l’approccio della terapia genica - finora efficace nell’uomo nella cura di alcune malattie rare, come l’emofilia, la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich - nei confronti di alcuni tumori è una delle frontiere a cui guarda con maggiore interesse la comunità scientifica. Risale a gennaio la pubblicazione di uno studio sulla rivista Embo Medicine da parte di un team di ricercatori dell’ospedale San Raffaele di Milano. Su modello animale, con il trasferimento di un gene - è stato possibile arrestare la formazione di metastasi epatiche conseguenti a un primitivo tumore del colon-retto. In questo caso il gene utilizzato è quello che codifica per l’interferone alfa: una molecola prodotta dal nostro organismo in risposta alle infezioni, ma per la quale è stata dimostrata anche l’attività anti-tumorale.

Un’evidenza che ha consolidato quanto già apparso nel 2014 in una ricerca pubblicata su Science Translational Medicine. In questo caso l’effetto era stato riscontrato, sempre su modello animale, su cellule di tumore al seno. A veicolare in maniera specifica il gene antitumorale (sempre il precursore dell’interferone alfa), i macrofagi, cellule del sangue che tendono ad aggregarsi in prossimità della malattia. In questo modo l’interferone si accumula solo nel tumore, dove può esercitare la sua funzione di «contrasto» alla malattia attraverso molteplici meccanismi: dall’induzione della morte delle cellule tumorali e dei vasi sanguigni del tumore, essenziali per fornire nutrimento, alla stimolazione della risposta immunitaria contro il tumore.


Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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