Indiscusso il primato della colonscopia. Ma per diffondere lo screening gli specialisti puntano sui nuovi test che identificano il dna delle cellule tumorali
La ricerca del sangue occulto nelle feci e rettosigmoidoscopia restano gli esami consigliati per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto: nella società occidentale il secondo più diffuso tra le donne e il terzo tra gli uomini. Ma la ricerca in ambito oncologico sta studiando nuovi approcci per agevolare i controlli ed evitare che molti dei soggetti candidati a effettuarli - uomini e donne oltre i cinquant’anni - si tirino indietro: intimoriti dall’invasività degli esami diagnostici. Considerando che la sopravvivenza dipende dallo stadio in cui è la malattia nel momento in cui viene scoperta, è presto chiaro che prima si arriva la diagnosi e maggiori sono le probabilità di poter intervenire con successo. Ecco spiegata, dunque, l’importanza dello screening.
LE DIAGNOSI DEL FUTURO
Servirà eventualmente del tempo prima di poter affermare che la colonscopia sarà un esame sostituibile, ma intanto nuove procedure diagnostiche sono in fase di studio. L’ultimo congresso dell’European Society of Medical Oncology, svoltosi a Barcellona, ha rappresentato l’occasione per anticipare gli scenari futuri. «Il 30% dei tumori del colon hanno origine familiare: dopo i quarant’anni, tutti i soggetti che contano anche un solo caso di malattia tra i parenti più stretti dovrebbero effettuare la colonscopia ogni cinque anni», dichiara Wolff Schmiegel, direttore del dipartimento di gastroenterologia ed epatologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Bergmannsheil di Bochum. Le speranze sono riposte nelle videocapsule, nei test immunochimici fecali (Fit) in grado di segnalare lesioni non sanguinanti e nella ricerca del dna delle cellule tumorali nelle feci. Ma a disposizione dei pazienti - visto il primato incontrastato della colonscopia - ci saranno anche supporti endoscopici più sensibili. All’ospedale Humanitas di Milano è pronto a partire uno studio multicentrico per testare l’efficacia di un colonscopio che, rispetto a quelli in uso, è dotato di tre telecamere: una frontale e due laterali. «Sarà così possibile ottenere una maggiore accuratezza nella visione dei polipi e delle lesioni del colon più nascoste», afferma Alessandro Repici, responsabile dell’unità operativa di endoscopia diagnostica dell’ospedale lombardo.
TUMORE DEL COLON-RETTO: QUALE PREVENZIONE PRIMA DEI 50 ANNI?
SCREENING: OCCORRE RADDOPPIARE
Prevenire il tumore del colon-retto - diagnosticato in 55mila individui nel 2012 - potrebbe dunque essere presto più agevole: soprattutto per i pazienti. Se da una parte la colonscopia virtuale non ha dato i risultati attesi, ben altre sono le aspettative che la comunità scientifica nutre nei confronti di questi nuovi test, sulla cui efficacia si è discusso ampiamente nel corso del convegno mondiale. «Siamo aperti a tutte le novità perché, purtroppo, con la colonscopia non abbiamo raggiunto gli obiettivi di screening prefissati - sostiene Renato Cannizzaro, direttore della struttura operativa di gastroenterologia oncologica dell’Istituto Tumori di Aviano -. I numeri, rispetto al 47% dei soggetti invitati che nel 2012 ha effettuato i controlli, dovrebbero raddoppiare: soltanto a quel punto potremo dirci soddisfatti». L’ultima novità arriva da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine che ha valutato la specificità della ricerca del dna nelle feci su quasi diecimila pazienti. Dalla ricerca, rispetto alla valutazione del sangue occulto, è emersa una più elevata sensibilità nella diagnosi della neoplasia e delle lesioni precancerose che spesso preludono al tumore del colon. «Lo studio è di grande rilevanza perché evidenzia una buona accuratezza nell’identificazione delle lesione precancerose - commenta Grazia Grazzini, dirigente medico dell’unità operativa di prevenzione secondaria screening dell’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica di Firenze -. La possibilità che questa metodica possa diventare applicabile nella pratica clinica dovrà però essere valutata alla luce di altri determinanti». Oltre ai costi e ai tassi di adesione da parte dei pazienti, tutti da verificare, resta da limare anche la rilevazione dei falsi positivi: superiore a quella riscontrata nei pazienti sottoposti alla rilevazione del sangue occulto nelle feci.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).