Nelle forme metastatiche che presentano determinati "difetti" l'immunoterapia rivoluziona il trattamento del tumore del colon-retto
Nel tumore del colon-retto che presenta instabilità dei microsatelliti (MSI-H) o deficit del mismatch repair (dMMR), l'utilizzo dell'immunoterpia cambia radicalmente le prospettive di cura. Se per la malattia localizzata è possibile è possibile addirittura guarire, nelle forme metastatiche l'utilizzo immediado della combinazione di iplimumab e nivolumab si è dimostrata utile nel controllare il tumore sul lungo periodo. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine.
COSA SONO I TUMORI DEL COLON-RETTO MSI-H E D-MMR?
Ogni anno in Italia, secondo i dati dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), sono oltre 50 mila le nuove diagnosi di tumore del colon-retto. Fortunatamente, grazie ai programmi di screening, una buona quota (circa il 70%) viene diagnosticata in fase iniziale. Ma al di là della stadiazione, non tutti i tumori del colon sono uguali. Circa il 10-15% di quelli diagnosticati non ancora in fase metastatica presenta alcune caratteristiche molecolari come l'instabilità dei microsatelliti (MSI-H) o deficit del mismatch repair (dMMR). Caratteristiche che prima dell'avvento dell'immunoterapia rendevano questi tumori particolarmente difficili da trattare.
QUANDO SI UTILIZZA L'IMMUNOTERAPIA?
Ma cosa sono esattamente questi difetti? Le cellule tumorali che presentano queste caratteristiche sono carenti di un meccanismo di riparazione del Dna che le espone a produrre proteine anomale che possono essere maggiormente riconosciute dal sistema immunitario. Proprio in virtù del fatto di avere un Dna particolarmente ricco di mutazioni, questo tipo di tumore bene si presta alla sperimentazione con farmaci immunoterapici. Questo perché il sistema immunitario, opportunamente stimolato, riesce a riconoscere con maggiore facilità cellule che contengono "molti errori".
GUARIRE LE FORME LOCALIZZATE
Partendo da questo presupposto, negli scorsi anni sono iniziate le sperimentazioni sull'utilizzo dell'immunoterapia nei tumori del colon-retto con queste particolari anomalie molecolari. Alcuni studi clinici sono stati realizzati nei tumori localizzati ed in particolare utilizzando l'immunoterapia con pembrolizumab nella modalità neo-adiuvante, ovvero prima della rimozione chirurgica. I risultati sono stati straordinari: in oltre i due terzi dei casi -come raccontato in questo nostro approfondimento- la malattia è stata eliminata al punto tale da non essere più necessario il ricorso al bisturi.
L'IMMUNOTERAPIA NELLE FORME METASTATICHE
Altri hanno invece riguardato l'utilizzo dell'immunoterapia nei casi metastatici. In alcuni frangenti è stato utilizzato pembrolizumab come prima strategia di cura, in altri la combinazione di ipilimumab e nivolumab in seconda linea dopo aver esaurito i possibili trattamenti disponibili a base di chemioterapia (luoropirimidine, oxaliplatino e irinotecan). Anche in questi frangenti i risultati sono stati positivi tanto da indurre l'EMA (Agenzia Europea del Farmaco) ad approvare l'utilizzo di questi farmaci nel tumore in fase metastatica.
I RISULTATI DELLO STUDIO
Lo studio da poco pubblicato sul New England Journal of Medicine aggiunge però un ulteriore tassello alla gestione di questo genere di neoplasie. Il trial clinico CheckMate 8HW ha confrontato direttamente nivolumab e ipilimumab con la chemioterapia come prima linea di trattamento in pazienti con tumori metastatici MSI-H/dMMR. Dalle analisi, effettuate su oltre 300 malati, è emerso che la combinazione di immunoterapici ha portato ad un chiaro vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione, ovvero il periodo di tempo durante il quale un paziente vive con il tumore senza che la malattia peggiori. Con l'immunoterapia, a 24 mesi dal trattamento, era libero da progressione il 72% dei pazienti rispetto al 14% ottenuto con la chemioterapia. Non solo, come spesso accade l'immunoterapia ha portato ad effetti collaterali estremamente inferiori rispetto a quelli della chemioterapia.
UNA POSSIBILITÀ IN PIÙ
Pur essendo già disponibile un farmaco per le forme metastatiche (pembrolizumab), i risultati dello studio CheckMate 8HW potrebbero portare ad un ulteriore cambiamento della pratica clinica. Ad oggi non esistono studi che hanno comparato le due strategie (pembrolizumab e ipilimumab/nivolumab) ma quest'ultima, agendo su due meccanismi, potrebbe rivelarsi ancor più efficace nel controllo della malattia sul lungo periodo.
Fonti
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.