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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 01-05-2013

Screening vuol dire salvezza



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Gli screening oncologici rappresentano la più incisiva strategia di diagnosi precoce dei tumori al seno, al colon-retto e al collo dell'utero. Ma una gran parte degli italiani li ignora

Screening vuol dire salvezza

Gli italiani sembrano non credere nella prevenzione, soprattutto quella praticata con gli screening. Questo è quanto emerge dai dati relativi al 2010 dell'Osservatorio nazionale screening: da Roma in giù, tre anni fa, il 38% delle donne over 50 si sottopose a una mammografia (rispetto al 90% delle donne settentrionali), mentre appena il 30% degli adulti si sottopose al test del sangue occulto. Perché questa diffidenza? La soluzione sta sempre nel giusto compromesso tra quanto emerge dalle ricerche scientifiche e i costi per il sistema sanitario. Fatta questa premessa, l'efficacia degli screening è fuori discussione: validati a livello statale e accettati dalle Regioni, rappresentano la più incisiva strategia di diagnosi precoce di una malattia nella popolazione a rischio. Per metterli in atto, però, è necessario che si tratti di una malattia ad alta prevalenza. Servono evidenze inconfutabili: sui metodi diagnostici e sull'utilità delle terapie utilizzate. Più che cambiare l'epilogo della malattia, gli screening hanno l'obbiettivo di allungare i tempi di sopravvivenza post-diagnosi. È importante che, prima di avviare una campagna, si valuti la possibilità che l'intervento possa produrre più benefici che danni nella popolazione cui è offerto.

QUESTIONE DI COSTI

L'iter per la validazione delle procedure di screening è scandito da tre tappe. Il primo compito spetta alla ricerca scientifica, chiamata a mettere sul banco le evidenze che provano l'utilità della diagnosi precoce. I dati sono poi valutati da apposite commissioni ministeriali e, se accettati, vengono inseriti negli atti d'intesa della Conferenza Stato-Regioni. «Fare una simile indagine per poche persone può essere uno spreco», spiega Silvio Garattini, direttore dell'istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Il filo è sempre sottile: da una parte ci sono le esigenze dei pazienti e delle loro famiglie, dall'altra quelle di chi gestisce le politiche sanitarie e deve garantire la necessaria assistenza pur facendo quadrare i conti. Al momento gli esami mirati alla diagnosi precoce dei tumori, inseriti nei livelli essenziali di assistenza (Lea), riguardano soltanto il cancro al seno, il tumore della cervice uterina e il carcinoma del colon retto. Per le tre patologie, le Regioni assicurano gli esami gratuiti (mammografia, pap-test, ricerca di sangue occulto nelle feci) e, in caso di positività, a carico del sistema sanitario sono anche i successivi accertamenti. «Parliamo degli esami previsti in tutta Europa, dove però i livelli di partecipazione sono più alti rispetto a quelli italiani - sostiene Marco Zappa, epidemiologo e responsabile dell'Osservatorio nazionale screening -. Per la prevenzione del tumore della cervice uterina sono in corso diversi progetti pilota con il test virale e il vaccino è somministrato gratuitamente alle dodicenni. In prospettiva, dunque, il pap-test potrebbe rimanere soltanto sui testi di storia della medicina». 

UN PAESE A MACCHIA DI LEOPARDO

Tutte le regioni garantiscono i suddetti screening. Disparità, però, emergono nel ruolo attivo degli enti locali. Non trattandosi di esami obbligatori, infatti, fondamentale è l'invito rivolto alla cittadinanza: quando c'è, la partecipazione è più alta. È questo il motivo per cui la realtà nazionale rimane piuttosto frammentata, con le regioni meridionali in ritardo rispetto al resto del Paese. È quanto emerge dai dati relativi al 2010 dell'Osservatorio nazionale screening: da Roma in giù, tre anni fa, il 38% delle donne over 50 si sottopose a una mammografia (rispetto all'89% delle donne settentrionali), mentre appena il 30% degli adulti partecipò all’esame della ricerca del sangue occulto (rispetto al 90% dei settentrionali). «I pazienti devono essere invitati, altrimenti preferiranno sempre rimandare gli accertamenti», precisa Garattini.

 

LE PROSPETTIVE

La tac spirale per la diagnosi del tumore del polmone e il dosaggio del psa (antigene specifico della prostata) potrebbero essere i prossimi screening oncologici a essere inseriti nei Lea. Un filone interessante è quello che riguarda lo screening neonatale delle malattie rare. La Toscana è l'esempio da seguire: dal 2004 al Meyer di Firenze, da una sola goccia di sangue, si possono diagnosticare fino a quaranta malattie metaboliche. Sullo stesso solco si stanno inserendo diverse regioni italiane, in cui sono in corso progetti pilota. Garattini: «Le malattie metaboliche possono manifestarsi diversi anni dopo la nascita: perciò una loro diagnosi precoce sarebbe molto importante». Di queste patologie, soltanto tre sono inserite nei Lea: ipotiroidismo congenito, fenilchetonuria e fibrosi cistica.

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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