In occasione della Festa del Papà, i consigli per superare le difficoltà legate alla comunicazione della diagnosi con un figlio. Grazie anche alle favole e ai fumetti
«Ho sentito che papà non sta bene: cosa ha, la febbre?», chiede la piccola Ella a sua mamma, in una domenica soltanto apparentemente come le altre. «Hai ragione, amore - le risponde il diretto interessato, all'ascolto -. Non sto bene, ma non ho la febbre né la gola arrossata: ho un tumore». Va dritta al punto Tricia Larose, autrice del volume «A checklist for Dad», nel passaggio in cui un genitore comunica alla propria bambina di essersi ammalato di cancro. Il volume, edito dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), è un racconto per bambini (5-7 anni) chiamati a prendere atto dell'«ingresso» di una malattia oncologica all'interno della propria famiglia. Un passaggio, quello della condivisione della malattia con un figlio piccolo, delicato. Ma cruciale.
Cancro e psiche: perché è importante parlarne
SE IL PAPA' SI AMMALA DI CANCRO
Ella, come non di rado accade in queste situazioni, scopre quasi per caso che qualcosa nella sua famiglia non va. Una notte si sveglia, va in bagno e vede che, in cucina, c'è la luce accesa. Si sporge dalle scale e sente i genitori parlare, con il tono di voce di chi è attento a non farsi sentire. «Cosa ha detto il dottore?», chiede la donna al marito. «La malattia è a uno stadio iniziale, tornerò in ospedale la settimana prossima per scoprire a quali cure dovrò sottopormi». La risposta non arriva chiara all'orecchio di Ella, che quando torna a letto è confusa. Si chiede se abbia capito bene o se non sia troppo assonnata. Poi si riaddormenta, ma la mattina dopo il pensiero si ripresenta. La consapevolezza di aver assistito a quel colloquio tra i genitori è più forte del pensiero di aver fatto un brutto sogno. Da qui l'idea di redigere un elenco di parametri da misurare in suo padre: eccola, la checklist. Ella decide di chiedergli informazioni sull'altezza e sul peso, di verificare se abbia la tosse e la febbre. E la solita voglia di giocare, con lei. Basterà a rendersi conto se sia (o meno) tutto ok?
QUANTO E' COINVOLTO IL PAZIENTE ONCOLOGICO NEL PERCORSO DI CURE?
COME DIRE A UN FIGLIO CHE IL PAPA' HA UN CANCRO
Il giorno dopo, Ella dimentica il suo quaderno aperto sul tavolo della cucina. A trovarlo è la mamma, che così, involontariamente, intercetta la sua preoccupazione. È il momento più difficile per la famiglia, che l'unico uomo della casa decide di affrontare di petto. «Papà ha un tumore, una malattia che si sviluppa quando le cellule del nostro corpo non lavorano più come dovrebbero», sono le parole con cui la mamma accompagna la prima risposta di suo marito. Seguono per diverse settimane le domande di Ella («Che cos'è un cancro?», «Perché è una malattia che non si vede?», «Di cancro si può morire?», «E papà guarira?»), a cui i due genitori rispondono senza elusioni, con parole comprensibili. Un approccio che Daniela Barberio, responsabile dell'ambulatorio della famiglia all'interno della struttura di psicologia oncologica dell'Istituto Nazionale dei Tumori Fondazione Pascale di Napoli, condivide: «Lo stratagemma usato nel libro riprende una situazione molto frequente nelle famiglie. I bambini ci mettono poco a capire che qualcosa non va. Per questo ai genitori, quando uno dei due sta completando l'iter diagnostico, consiglio di parlare da soli. Fuori dalle mura domestiche, però. E poi di informare i figli, il prima possibile».
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PARLARE CHIARO (MA SEMPLICEMENTE) CON I BAMBINI
Non è un caso che gli specialisti considerino il cancro una malattia che colpisce l'intera famiglia, non soltanto chi si ammala. Nel caso in cui ci siano anche dei figli, il problema della comunicazione della diagnosi si pone quando i bambini hanno dai 4 anni in su. Un'età inferiore non permette un dialogo che, seppur strutturato nel modo più semplice possibile, impegnerebbe oltremodo chi è ancora poco avvezzo alla comunicazione verbale. «Con i bambini bisogna essere sempre onesti: evitando di spaventarli, ma senza nemmeno minimizzare quanto sta accadendo al proprio genitore - prosegue la specialista -. A un figlio bisogna far capire, con tranquillità, che qualcosa è cambiato e che i mesi successivi saranno inevitabilmente diversi. Il messaggio deve essere chiaro, ma non infarcito di dettagli. Di fronte, bisogna ricordarselo sempre, non c'è un adulto». Piuttosto si risponderà alle domande, se un figlio le porrà. Ma se si ammala un papà, a chi tocca affrontare questo momento? Molto dipende dalle dinamiche familiari. «Può essere anche lui, purché se la senta». In caso contrario, senza colpevolizzarlo, dovrà essere la compagna a farsi carico della comunicazione della diagnosi. «Lo psicologo? Può aiutare i genitori prima, soprattutto se in famiglia la comunicazione è già precaria - precisa la psicologa -. Ma quel momento deve essere vissuto tra il singolo o entrambi i genitori e il bambino».
ANCHE I LIBRI AIUTANO
Soprattutto nelle prime fasi della malattia, pubblicazioni come «A checklist for Dad» possono essere un ausilio valido per spiegare ai bambini la malattia di un padre. Ben vengano dunque favole e fumetti, che con un linguaggio semplice e adatto a più fasce d’età sostengono i genitori nel momento in cui bisogna dire a un figlio che uno dei due genitori si è ammalato di cancro. E che la vita, da quel momento in avanti, non potrà essere come prima. Di strumenti analoghi ne sono stati realizzati diversi, anche in Italia. Due di questi sono «Papà Uovo - La malattia spiegata a mio figlio» e «Mamma Uovo - La malattia spiegata a mio figlio», scritti da altri tre specialisti del Pascale di Napoli (Gabriella De Benedetta, Silvia D'Ovidio e Antonello Pinto). Le favole, accompagnate dai fumetti di Sergio Staino, sono nate dall'esperienza diretta con i pazienti per aiutare sia i papà sia le mamme a comunicare il significato della propria malattia ai loro bambini. Altro titolo utile, in queste situazioni, è «La pazienza dei sassi» (Ierma Sega), albo illustrato recensito anche su queste pagine. Idem dicasi per «Il viaggio della regina» (Beatrice Masini). Un vademecum utile è infine il manuale di psiconcologia pubblicato da Fondazione Umberto Veronesi.
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TUTELARE LA RETE SOCIALE
Superate i primi ostacoli, bisogna cercare però di preservare il più possibile la normalità. I bambini, secondo l'esperta, devono mantenere finché possono le proprie abitudini. E dunque: andare a scuola, fare sport, trascorrere del tempo all'aperto, incontrare i propri amichetti. Quanto a mamma e papà, se faticano a svolgere con il proprio bambino tutte le attività che caratterizzavano la vita prima dell'arrivo del tumore, appoggiarsi agli insegnanti o a coppie di amici con figli può essere utile per «controllare» che il bambino non accusi oltremodo il contraccolpo della malattia. Al di là della diagnosi, i più piccoli vanno aggiornati anche in corso d'opera. «Senza ingolfarli con troppe informazioni, ma dicendo per esempio che il papà potrebbe assentarsi perché in ospedale o essere stanco a causa delle medicine che assume - afferma Barberio -. Non facendolo, non si evita comunque un dispiacere a un figlio, che da un certa età in poi è in grado di rilevare anche i cambiamenti fisici indotti dalla malattia».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).