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Oncologia
Roberta Altobelli
pubblicato il 26-02-2025

Caregivers: quando la salute degli altri condiziona la propria



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Le cure a lungo termine influenzano negativamente il benessere psicofisico dei caregiver. Ecco perché sono necessarie strategie per prevenire il burnout e migliorare la qualità di vita

Caregivers: quando la salute degli altri condiziona la propria

Un recente studio, condotto presso l'Università di Zurigo e basato su dati provenienti da oltre 28.000 caregiver in tre Paesi, ha mostrato che più a lungo una persona si dedica alla cura dei propri cari, più il suo benessere ne risente, indipendentemente dal contesto in cui avviene l'assistenza. Questi risultati mettono in luce la necessità di avviare discussioni sociali e politiche sulla figura dei caregiver, per alleviare il carico dell'assistenza informale da parte di famigliari e persone care. Ne abbiamo parlato con la professoressa Gabriella Pravettoni, Direttrice della Divisione di Psiconcologia dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, che ha anche fornito consigli su come riconoscere i segni di burnout e cosa fare per migliorare la propria qualità della vita quando si è un caregiver.

QUANDO LA MALATTIA COINVOLGE TUTTA LA FAMIGLIA

La diffusione dell’assistenza informale continua a crescere a livello globale, in parte a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle patologie complesse e di lunga durata, come i tumori. Queste richiedono spesso cure prolungate e intense, che coinvolgono non solo i pazienti, ma anche i loro caregiver, con cambiamenti significativi e improvvisi nella loro vita. Se, in passato, alcuni studi avevano suggerito che il caregiving, l’atto di prendersi cura di qualcuno, potesse migliorare il benessere di chi lo esercita, fornendo un senso di scopo, altre ricerche hanno evidenziato la presenza di un forte stress emotivo, con ripercussioni sulla qualità della vita. In particolare, un recente studio dell'Università di Zurigo ha analizzato i dati di 28.663 caregiver, tra Paesi Bassi, Germania e Australia, mostrando un calo costante della soddisfazione di vita e della salute emotiva, accompagnato da un aumento della solitudine e dell’ansia.

UN DECLINO CHE PEGGIORA NEL TEMPO

«Malattie importanti, come i tumori, possono essere considerate “malattie familiari”: questo significa che una diagnosi coinvolge non solo il paziente, ma tutta la famiglia nel carico della cura. Milioni di persone in tutto il mondo si prendono cura di una persona cara malata ogni anno e recenti studi mostrano come un caregiver su tre dedichi alle cure, ogni settimana, un tempo equivalente a quello di un lavoro a tempo pieno. Se, da un lato, il caregiving offre l'opportunità di prendersi cura di una persona cara, dall'altro lo stress a lungo termine può portare all'esaurimento fisico ed emotivo» spiega la Professoressa Pravettoni. Lo studio svizzero ha anche mostrato che maggiore è il tempo speso per i compiti di caregiving, maggiore è l’impatto negativo sul benessere. «Prendersi cura di un paziente, soprattutto oggi che le patologie, come le malattie oncologiche, vengono sempre più cronicizzate, può diventare un grande fattore di stress e può essere difficile mantenere forze ed energie in modo costante» commenta Pravettoni.

UNA QUESTIONE DI GENERE?

Secondo lo studio svizzero, le donne che si prendono cura dei loro cari sembrano particolarmente vulnerabili, probabilmente perché tendono ad assumersi responsabilità più intense nei confronti dei famigliari. «È vero che la maggior parte degli studi nella letteratura sul caregiving si è concentrata sulle donne, che tradizionalmente assumono questo ruolo. Nonostante non vi sia un consistente numero di ricerche riguardo al caregiving maschile, la letteratura scientifica sta dedicando sempre maggiore spazio alle differenze di genere nell’ambito della cura e dell’assistenza dei familiari per cui, in futuro, potremo avere dati più specifici a questo proposito. Studi recenti riportano come le donne caregiver sperimentino livelli significativamente più elevati di stress, di sintomi depressivi, di ansia e di tensione sociale, rispetto agli uomini. Ciò può essere dovuto a stereotipi sociali, per cui viene attribuita maggiore responsabilità e aspettativa nel prendersi cura dei propri familiari malati alle caregiver donne, sulle quali si carica il peso della cura di persone che necessitano di continue attenzioni. È bene mettere in luce questo bias culturale, affinché in ogni famiglia il carico dei compiti di cura venga sempre più ben distribuito, non sulla base del genere ma delle esigenze, degli spazi di tempo e delle possibilità e alla luce dei bisogni individuali e dell’intera famiglia» aggiunge la Professoressa Pravettoni.

COME RICONOSCERE I SEGNI DI BURNOUT?

«Esattamente come i diversi caregiver professionali, come medici e infermieri, anche i caregiver informali, in genere familiari o amici che forniscono assistenza a persone in cura, sperimentano effetti psicologici, comportamentali e fisiologici negativi sulla loro vita quotidiana e sulla loro salute. Identificare dei “sintomi” di diminuzione della propria capacità di cura è essenziale per poter chiedere aiuto. Un sintomo di burnout che preoccupa sempre molto i caregiver è comportarsi in modo meno premuroso di quanto si farebbe normalmente con la persona di cui ci si prende cura. Questo può provocare sensi di colpa e ansia, che possono portare a risultati di salute peggiori sia per i caregiver che per i pazienti. È normale che accada: è importante ricordare che queste esperienze non sono rare. I sentimenti di fatica e di desiderio di prendersi tempo per sé sono validi e reali, e riconoscerli è un primo passo importante in qualsiasi sforzo di rinfrancarsi» spiega Pravettoni. Altri segnali che possono indicare una difficoltà del caregiver possono essere la sensazione fisica di stanchezza, anche dopo aver dormito a sufficienza; cambiamenti nell'appetito o nel ritmo del sonno; la sensazione di “non potersi fermare” o di avere sempre qualcosa ancora da fare, segnali di ansia e difficoltà a rilassarsi; avere reazioni emotive forti a piccole cose (reagire con rabbia e urlare se si rompe un bicchiere in casa, per esempio); sentimenti prolungati di tristezza, impotenza o mancanza di speranza; mancanza di interesse nel fare le cose, soprattutto quelle che di solito piacciono; trascurarsi o avere difficoltà di concentrazione.

PRENDERSI CURA DELLA PROPRIA PERSONA

Nonostante il caregiving possa essere molto difficile da conciliare con il resto delle attività quotidiane e possa essere difficile anche solo trovare il tempo per dedicarsi alla propria salute mentale, ci sono cose che i caregiver possono sempre fare per aiutarsi: «Innanzitutto, accorgersi dell’affaticamento e legittimarsi a parlarne. Chiedere aiuto agli altri può essere faticoso e ci si può sentire inappropriati a fare delle richieste, soprattutto quando non si è sicuri di ciò che gli altri potrebbero o sono disposti a fare. Può essere utile creare un elenco di compiti per i quali si sente il bisogno di assistenza e contattare amici e familiari per trovare i modi specifici in cui ciascuno può essere di ausilio. Programmare del tempo per sé, anche se trovare un momento libero come caregiver può essere difficile. Non c'è nulla di male nel godersi questi momenti privati per se stessi, anche di breve durata. Lo spazio per ricaricarsi è necessario per andare avanti. Che si tratti di cose basilari come dormire bene, fare una passeggiata, praticare un hobby che piace o, per esempio, imparare tecniche di mindfulness o rilassamento, può aiutare a trovare un buon equilibrio tra il dire “sì” alle esigenze personali e gli obblighi di assistenza. Tuttavia, è necessario anche imparare a dire di no. Se i caregiver sentono di essere sovraccarichi, è importante che diano priorità alle cose che devono essere fatte e che si autorizzino a dire “no” alle attività che possono essere delegate ad altri o rimandate. In alcuni casi, attivare un'assistenza domiciliare professionale può contribuire ad alleviare alcuni dei compiti assistenziali. Anche unirsi a un gruppo di sostegno può fornire uno spazio per elaborare le proprie esperienze di caregiving con persone che comprendono la nostra condizione. Infine, non deve essere sottovalutata la possibilità di richiedere un supporto psicologico che possa aiutare i caregiver a gestire in modo proattivo la situazione, riducendo così i sintomi e il senso di burnout» conclude Pravettoni.

LA CARTA DEI DIRITTI DEI CAREGIVERS

Queste riflessioni sottolineano l'importanza di sviluppare politiche mirate a ridurre la dipendenza dall’assistenza informale. Garantire un migliore accesso a cure formali a lungo termine o adottare soluzioni integrate potrebbe contribuire a mitigare l’impatto negativo del caregiving sulla qualità della vita di chi si prende cura dei propri cari. In Italia, è nata di recente la “Carta dei Diritti del Caregiver”, su impulso di 19 Associazioni di pazienti, che riassume barriere, bisogni e richieste intorno alla figura del caregiver, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza rispetto a questo ruolo e sensibilizzare le istituzioni competenti sull’importanza di accelerare il riconoscimento normativo del caregiver, affinché possano essere concretizzate delle misure specifiche per tutelare questa preziosa figura.


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