«Umiliati e offesi» definisce gli anziani in questa pandemia lo psicogeriatra Marco Trabucchi. Molti non chiamano il 118 per paura di “sparire”. Le conquiste di anni di ricerca disconosciute in pochi giorni
«Umiliati e offesi». E’ deciso il professor Marco Trabucchi nel definire il modo in cui sono stati – e sono – trattati gli anziani in questo periodo di pandemia da nuovo Coronavirus. «Umiliati perché si sono trovati ai margini degli interventi sia nelle case di riposo, sia nelle proprie case e sia negli ospedali». Continua il professor Trabucchi che è presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria e : «Offesi perché fatti sentire come un peso per l’organizzazione, solo dei costi, e non col pieno diritto di fa parte della cittadinanza e della vita… La vita non si misura per quantità, ma ogni momento ha un suo peso inestimabile. Invece si sente un coro, inespresso o apertamente detto: tanto sono dei vecchi…».
GLI EGOISMI CONTRO IL PROGRESSO
Che fare? «Intanto sul piano culturale e scientifico dimostrare che si può vivere bene anche da vecchi e, pure, guarire da questo virus. Con tutta la ricerca fatta sugli anziani che ci ha portato a vivere (in genere bene) circa 85 anni e che ad ogni aggiunta di anni più viene esaltata da tutti, “grande conquista eccetera”, e poi, pronti a rovinare tutto, a smentire i progressi, con gli egoismi in questa congiuntura?». Lo sguardo dello psicogeriatra si sposta sulle case. Dove gli anziani, anche se soli, ma pure i parenti conviventi, esitano a chiamare il 118 tentando di curare da soli i primi sintomi del male. «Temono si ripetano le condizioni di estremo dolore che hanno caratterizzato concittadini e conoscenti. Cioè di veder salire il parente sull’ambulanza e di non poterlo più salutare fino alla fine. E così si tengono in casa il familiare, anche a rischio loro…».
ROTTI I FRENI INIBITORI DELL’UMANITA’
In pochi giorni, riflette il professor Trabucchi, abbiamo disfatto decenni di pensiero geriatrico, ma soprattutto abbiamo distrutto un rapporto di fiducia: «Non vorrei sembrare melodrammatico, ma come ci avvicineremo ai pazienti se questi hanno capito che chiediamo loro gli anni per prendere, oggi, alcune decisioni (l’intubazione), ma, un domani, anche quelle che potrebbero riguardare la somministrazione o meno di farmaci costosi? Sempre più si nota una discrepanza tra il dono di una vita lunga e la sua accettazione».
Ma la svalutazione dell’anziano e del vecchio viene da lontano. «E’ vero, ma ora con l’emergenza sono saltati i freni inibitori e si dice ad alta voce quello che molti pensano. Vorrei finire con una citazione del poeta e politico Vaclav Havel “La speranza non è ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno”».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.