Sono oltre 16mila gli italiani che hanno superato l'infezione da Coronavirus. Quando si è considerati guariti? Quali prospettive per i test anticorpali?
A rimanere impressi, giorno dopo giorno, sono soprattutto i dati dei nuovi contagi da Coronavirus e il numero di vittime provocate da Covid-19. Parallelamente, però, cresce anche il numero dei pazienti dichiarati guariti. Al termine della giornata di ieri, 16.487 connazionali avevano superato l'infezione delle vie respiratorie che, nei casi più gravi, provoca la polmonite interstiziale. Ma quando un paziente può essere considerato fuori dal «tunnel» del Covid-19? Proviamo a fare chiarezza, con l’aiuto di alcuni esperti.
Quando si guarisce da Covid-19?
La malattia provocata da Sars-CoV-2 è comparsa per la prima volta quest’anno e il decorso, nei pazienti finora colpiti, non si è rivelato univoco. Il tempo di incubazione, che intercorre tra il contagio e lo sviluppo dei sintomi (febbre, tosse e affanno nei casi lievi o medi, polmonite e insufficienza respiratoria in quelli più gravi), si stima che vari tra 2 e 11 giorni, fino a un massimo di due settimane. Nella maggior parte dei casi registrati, la malattia si manifesta tra il quinto e il settimo giorno dal «contatto» con il virus. Variabile è anche il decorso. A seconda che Covid-19 si sviluppi nelle forme più lievi o più gravi, i sintomi sono rilevabili in un periodo compreso tra 5-7 giorni (nei pazienti non ospedalizzati) e 15-16 giorni (se si rende necessario il ricovero in terapia intensiva). La loro intensità, in ogni caso, sfuma in maniera graduale.
Come si definisce la guarigione di un paziente colpito da Covid-19?
Sulla questione è intervenuto il Consiglio Superiore di Sanità, definendo due «tipologie» di guarigione: quella clinica e quella completa.
Cosa si intende per guarigione clinica?
«Un paziente può essere dichiarato guarito clinicamente da Covid-19 quando risultano svaniti i sintomi associati all’infezione da Sars-CoV-2 documentata dall’esame del tampone», ha precisato a più riprese Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica, terapia cellulare e genica dell’ospedale Bambino Gesù di Roma e presidente del Consiglio Superiore di Sanità. Questa guarigione, come detto, si verifica in un periodo compreso tra una e tre settimane, a seconda della gravità del decorso della malattia. Raggiunto questo risultato, la persona potrebbe essere comunque contagiosa.
Quando si può essere sicuri che una persona guarita da Covid-19 non è più contagiosa?
Per essere certi che sia svanita anche la contagiosità, occorre un ulteriore passaggio. «Il paziente guarito è colui che ha superato i sintomi da Covid-19 e che risulta negativo a due test consecutivi per la ricerca di Sars-CoV-2», è quanto indicato dal Consiglio Superiore di Sanità. I due tamponi nasofaringei devono essere effettuati a distanza di almeno 24 ore, per verificare (attraverso un'indagine di biologica molecolare, la RT-PCR) la presenza del materiale genetico del virus nei campioni di muco e saliva. Nel giorno che intercorre, i pazienti vengono comunque mantenuti in isolamento: a casa o in ospedale (in base a quello che è stato il decorso della malattia). Se l'esito di entrambi i tamponi è negativo, «vuol dire che l'Rna (acido ribonucleico) del Sars-Cov-2 non è più rilevabile nelle secrezioni respiratorie attraverso le quali avviene il contagio», spiega Maria Chironna, responsabile del laboratorio di epidemiologia molecolare e sanità pubblica del policlinico di Bari. Soltanto a questo punto, dunque, si è considerati guariti e non contagiosi.
Cosa accade, invece, se uno dei due tamponi dà esito positivo?
Se il primo o il secondo tampone risultano positivi, il paziente non può essere dichiarato guarito. I sintomi, assenti da giorni, difficilmente tornano a essere più rilevanti. Ma in questi casi è necessario attendere una settimana per effettuare un altro tampone, mantenendo la persona affetta da Covid-19 in isolamento. Di fronte a un esame con esito negativo, il paziente può essere dichiarato guarito e non contagioso.
Cosa deve fare un paziente colpito da Covid-19 una volta dichiarato guarito?
I pazienti che hanno superato Covid-19 sono guariti a tutti gli effetti. Diversi studi hanno però evidenziato che, in alcuni casi, la capacità di eliminare il virus persiste anche dopo l'esecuzione dei due tamponi. Secondo Chironna, «in questi casi è abbastanza normale che ci sia una fase di oscillazione fra negatività e positività», aspetto che può dipendere anche dalle modalità di esecuzione dei tamponi. Per questo motivo in Italia, a titolo precauzionale e come ulteriore tutela per la collettività, alle persone reduci da Covid-19 viene indicato di rispettare un ulteriore isolamento (7-14 giorni). Durante questa fase, al paziente è richiesto di comportarsi come se fosse ancora sintomatico. Questo periodo può essere trascorso nel proprio domicilio (se si vive da soli o si è comunque nelle condizioni di isolarsi dai familiari) o in una delle strutture che i Comuni e le Asl stanno cercando per ridurre il rischio di contagi all'interno di uno stesso appartamento.
Quali precauzioni deve adottare il paziente guarito, una volta rientrato dall'ospedale?
La persona reduce da un'infezione da Sars-CoV-2 deve stare a distanza dagli altri familiari, possibilmente in una stanza singola ben ventilata e non deve ricevere visite. In casa, se possibile, non dovrebbero esserci persone fragili (anziani, bambini, donne in gravidanza, parenti già ammalati), le cui condizioni potrebbero aggravarsi in caso di contagio. La persona in isolamento domiciliare deve dormire da sola, mantenere la distanza di un metro dagli altri abitanti della casa, consumare i pasti in camera o comunque non nello stesso momento in cui lo fanno i coinquilini, avere nella stanza contenitori per i rifiuti a pedale e dotati di doppio sacchetto, indossare guanti monouso quando si sanifica il bagno (dopo ogni utilizzo) con candeggina (cloro 0.5 per cento) o con disinfettanti a base di alcol (60-70 per cento). Durante il periodo di isolamento domiciliare, va inoltre sospesa la raccolta differenziata. Si consiglia di lavare abiti, lenzuola e vestiti del malato in lavatrice a 60-90 gradi. Queste indicazioni vanno ad aggiungersi a tutte le altre diffuse dal Ministero della Salute per prevenire il contagio, avendo cura di utilizzare asciugamani di carta usa e getta dopo ogni lavaggio.
Superata questa fase, è possibile tornare alla vita normale?
Terminato anche questo periodo, la persona che è stata affetta da Covid-19 può riprendere le proprie abitudini, con gli stessi limiti posti al momento in tutta Italia per favorire il distanziamento sociale. Prima, però, è necessario aver avuto l'ok dell'ufficio igiene della propria Asl, l'unico autorizzato a rilasciare il certificato di guarigione da Covid-19.
Quali sono le indicazioni per i pazienti sintomatici che non hanno potuto effettuare il tampone?
In questa situazione vivono migliaia di italiani che, pur avendo segnalato i sintomi (più lievi) riconducibili a Covid-19 al medico di famiglia o al 118, non sono mai stati sottoposti al tampone. «Ora che la stagione influenzale è finita, noi consideriamo queste persone positive al Coronavirus», ammette Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (Simg). Per questo motivo, a loro è richiesto di rimanere in casa e isolarsi dagli eventuali parenti che vivono nello stesso appartamento. Non avendo accertato la presenza del virus, non è possibile stabilire tempi precisi di isolamento. Ipotizzando che si tratti di infezione da Sars-CoV-2, bisogna allora considerare che si può essere contagiosi per diversi giorni o settimane dopo la risoluzione dei sintomi. «Chi è in questa situazione, una volta guarito e trascorsi i 14 giorni di isolamento, deve contattare la propria Asl per sottoporsi al tampone - aggiunge Cricelli -. Se negativo, può considerarsi guarito e tornare a vivere come tutte le altre persone».
Quale ruolo potrebbero avere i test sierologici nell'accertamento della guarigione di un paziente colpito da Covid-19?
La produzione di anticorpi ha inizio dopo - ma non si sa ancora esattamente quando - l'eliminazione del virus dai fluidi corporei. Il loro dosaggio offrirebbe una garanzia ai reduci da una forma sintomatica dell'infezione da Sars-CoV-2 e permetterebbe di intercettare chi è entrato in contatto con il virus senza sviluppare sintomi. Un'indagine che preveda l'utilizzo dei test sierologici, in grado di dosare gli anticorpi, consentirebbe dunque di avere il polso reale della diffusione del contagio. Ma attualmente i limiti sono diversi. «Quelli al momento disponibili non sono affidabili né per quanto riguarda una diagnosi di Covid-19 né per definire l'esenzione dall'isolamento», è il pensiero di Ranieri Guerra, assistente della direzione generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Sulla stessa lunghezza d'onda sono anche i clinici. «Occorre studiare gli anticorpi sviluppati dai pazienti reduci da Covid-19 per essere certi che quelli intercettati con i test siano specifici per il Sars-Cov-2 - sintetizza Nicola Petrosillo, direttore del dipartimento clinico e di ricerca di malattie infettive dell'ospedale Spallanzani di Roma -. Diversamente c'è il rischio che i test ne intercettino altri, sviluppati in seguito a infezioni provocate da un Coronavirus diverso». Al momento, l'attendibilità nell'identificare i pazienti negativi è elevata, mentre sui positivi è del 60-70 per cento. Ciò vuol dire che, in 3-4 casi su 10, si registra un (errato) esito negativo. Il rischio, pertanto, è quello di dare la «patente» di guarito a persone che tali ancora non sono, con le insidie che ne conseguono in termini di contagiosità.
Essere entrati a contatto con il Coronavirus esclude l'ipotesi di un nuovo contagio?
Sul tipo di immunità sviluppata dai pazienti guariti ci sono ancora poche informazioni e diverse ipotesi. È plausibile che le persone contagiate sviluppino un'immunità che, a fronte di un secondo contatto ravvicinato con Sars-CoV-2, permetta all'organismo di rispondere in modo adeguato. Ma sono diversi i punti ancora da chiarire. «La produzione di anticorpi è una delle componenti attraverso cui si valuta l’immunità a un virus -afferma Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di Ricerca pediatrica Città della Speranza e ordinario di patologia generale all’Università di Padova -. Registrarne la presenza sarebbe utile, ma non renderebbe il quadro completo. Nel caso di questa infezione, per esempio, non sappiamo né quando inizi né quanto duri la produzione di anticorpi. Possiamo soltanto basarci su quanto visto nelle altre infezioni da Coronavirus, che tipicamente non danno risposte immunitarie che si mantengono forti nel tempo».
L'articolo è stato aggiornato il 17 novembre sulla base delle indicazioni contenute nell'ultima circolare del ministero della Salute (riportata tra le fonti)
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).