La diagnosi di tumore viene vissuta da molti come un trauma, che può persistere per anni. Per tanti però lo stress post-traumatico stimola una positiva crescita interiore
Vivere con il cancro e per di più con il disturbo da stress post-traumatico. Un disturbo molto invasivo e duro, associato in genere a gravi incidenti o disastri naturali. Il che la dice lunga su quale trauma rappresenti una diagnosi di tumore. Non tutti ne restano schiacciati come da un terremoto, ma uno su cinque sì (21 per cento), ancora sei mesi dopo la “sentenza” dei medici. E, di questi, un terzo (34 per cento), che avevano sviluppato il Ptsd pieno o solo con alcuni sintomi, risultano soffrirne addirittura 4 anni dopo. Lo studio, pubblicato su Cancer, il giornale dell’American Cancer Society, è stato condotto dall’Università nazionale della Malesia sotto la regia di Caryn Mei Hsien Chan.
CHI FA IL GUERRIERO
I pazienti sottoposti a indagine psichiatrica sono stati 469, malati di diversi tipi di tumore. Osservano i ricercatori che i loro dati sottolineano la necessità di riconoscere presto, nei malati di cancro, la presenza di questo disturbo che poi va curato e seguito. «Molte persone con un tumore credono di dover adottare la mentalità del guerriero e rimanere ottimisti e positivi dalla diagnosi a tutta la terapia convinti di darsi così più chance di sconfiggere il loro cancro», ha commentato Chan. Continuando: «Per questi pazienti chiedere aiuto per i problemi psicologici che vivono è come ammettere una debolezza. Al contrario c’è bisogno che si diffonda una maggiore consapevolezza che non c’è niente di sbagliato nel cercare sostegno per affrontare i tormenti emotivi - soprattutto depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico - dopo il cancro».
COSA SI INTENDE PER
CANCER PATIENT EMPOWERMENT?
SI TEME IL RICORDO
Il fatto è che molti, ormai guariti, continuano a temere che la terribile malattia possa tornare e vivono con angoscia. Perciò, continua la dottoressa Chan, tendono a saltare le visite di controllo dall’oncologo o da altri medici per evitare di far riemergere i ricordi dell’esperienza con il cancro. Fanno un po’ eccezione - nota ancora la ricerca malese - le donne colpite da tumore al seno: sono circa quattro volte meno suscettibili di sviluppare un Ptsd. Attenzione, tuttavia: questo a sei mesi dalla diagnosi, ma non a quattro anni di distanza. Forse, si ipotizza, perché questa malattia è molto diffusa tra le donne, che quindi hanno con chi parlarne e confrontarsi, e perché ci sono molti centri e campagne di sensibilizzazione su questo tipo di tumore. Questo spiegherebbe la tenuta nei primi sei mesi. La caduta in anni seguenti sta a segnalare - sottolinea la dottoressa Chan - che i controlli e i supporti psicologici vanno protratti a lungo nel tempo. «Perché il benessere psicologico e la salute mentale sono importanti tanto quanto la salute fisica».
Tumore al seno: meno stress, più sopravvivenza
DALLO SHOCK ALLA CRESCITA
Non in tutti i centri si rilevano le stesse percentuali. Minori sono i casi traumatici se l’assistenza è a tutto tondo, anche psicologica e sostenuta da associazioni, spesso di auto-aiuto, interne ed esterne all’ospedale. A Claudia Borreani, responsabile della struttura di psicologia clinica dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano, preme sottolineare un altro esito che matura in molti dopo lo shock di una diagnosi di cancro: «Si chiama crescita post-traumatica ed è un cambiamento in positivo indotto dal disturbo post-traumatico da stress. Si trovano nuove risorse in se stessi, si fanno nuove scoperte emotive. Si sente di una crescita interiore per cui a volte si sente qualcuno dire: ”grazie a questa malattia ho capito…”. Ah, non tutti certo, ma lo riporto per far capire il mutamento possibile dopo il trauma e dopo che si sono messi in atto meccanismi di adattamento».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.