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Redazione
pubblicato il 24-09-2020

Quali sono i maggiori fattori di rischio cardiovascolare?



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Le buone regole della prevenzione primaria riguardano l’alimentazione, l’attività fisica, l’eliminazione del fumo e la riduzione, quanto più possibile, di alcol e stress

Quali sono i maggiori fattori di rischio cardiovascolare?

I fattori di rischio per il cuore sono di due tipologie: modificabili e non modificabili. Entrambi concorrono alla possibile insorgenza di malattie come infarti e ictus.

I fattori di rischio non modificabili sono quelli sui quali non si può agire direttamente, ma il cui effetto può essere attenuato grazie a buoni comportamenti e misure di prevenzione.

 

ETA'

Il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare è senz’altro correlato all’età. L’infarto del miocardio più frequente nei soggetti tra i 50 e i 60 anni.

 

SESSO

In età giovane e matura, infarto e aterosclerosi sono più comuni negli uomini rispetto alle donne. Con la menopausa, invece, il rischio tra uomini e donne si equipara.

 


FAMILIARITA'

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, la predisposizione a malattie cardiovascolari non è da attribuire a un singolo fattore genetico, quanto a una pluralità di geni. Per questo motivo, stabilire il peso della familiarità sui disturbi del cuore non è semplice.


Lo studio Interheart pubblicato sulla rivista The Lancet ha stimato che, in cui uno dei due genitori abbia avuto un evento cardiovascolare, questo fattore di rischio rappresenti solo l’un per cento del rischio complessivo di ammalarsi. Un valore, dunque, molto piccolo. Studi più recenti sono giunti a conclusioni diverse. Secondo gli esperti, se in una famiglia ci sono parenti stretti che soffrono o hanno sofferto di malattia cardiaca, il rischio sembra aumentare significativamente: esso sembra raddoppiare per i fratelli, in conseguenza di stili di vita condivisi e della predisposizione genetica in comune.


La malattia coronarica viene definita in questi casi come un «elemento aggregante della famiglia», perché si riscontra con una frequenza molto superiore a quanto sinora ritenuto. Questo accade soprattutto se l’infarto o l’ictus insorgono in giovane età; il rischio sembra aumentare ulteriormente quanti più sono i soggetti colpiti all’interno della stessa famiglia. Occorre tuttavia precisare che il concetto di familiarità è spesso presentato in modo non corretto, creando apprensioni non giustificate. La familiarità per coronaropatia esiste nei figli di genitori che hanno avuto un evento cardiaco (infarto o angina) prima dei 55 (nel caso del padre) o prima dei 65 anni (nel caso della madre), ma non sempre è possibile risalire alla storia medica dei genitori.


Se è possibile escludere con certezza una coronaropatia nei genitori, allora si può escludere una predisposizione familiare nei figli. Nel caso in cui, invece, ci sia certezza di eventi cardiaci nei genitori, la probabilità di avere una predisposizione familiare si aggira intorno al 40-60 per cento. È bene però tenere a mente che anche se la familiarità aumenta il rischio cardiovascolare indipendentemente da altri fattori di rischio, non implica necessariamente che i figli si ammaleranno di cuore. Eventi familiari, più che una condanna, dovrebbero invece essere vissuti come un monito a fare prevenzione sin dalla giovane età.

 


LA MENOPAUSA

Il rischio cardiovascolare per le donne e per gli uomini è diverso e il sesso rappresenta un vero e proprio fattore di rischio. Gli uomini sono naturalmente soggetti a pressione più alta e frequenza cardiaca maggiore e dunque sono più esposti a malattie cardiovascolari. Nelle donne il rischio cambia nelle diverse fasi della vita: in età fertile gli ormoni estrogeni, prodotti dall’organismo in modo regolare durante il ciclo mestruale, hanno un effetto protettivo su cuore e vasi.


Durante la menopausa la produzione di estrogeni cessa e il pericolo di essere colpite da una malattia cardiovascolare aumenta sensibilmente, al punto che le differenze rispetto al genere maschile si riducono fino ad annullarsi. La minore incidenza di malattie cardiovascolari al femminile (fino alla menopausa) genera una situazione paradossale: le donne sono svantaggiate sia sul controllo dei fattori di rischio modificabili, perché meno consapevoli del problema, sia in caso di malattia accidentale, che può essere diagnosticata con maggior ritardo. Inoltre, gli studi epidemiologici sulle malattie cardiovascolari nella donna sono stati avviati notevolmente più tardi e le nostre conoscenze scientifiche sono più limitate.


Le donne ultrasessantenni, nel periodo di maggior vulnerabilità cardiovascolare, costituiscono una quota considerevole di malati nella popolazione generale, motivo per cui è necessario promuovere una cultura della prevenzione cardiologica al femminile per sensibilizzare le donne sul tema.

 


LA CARTA DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

L'Istituto Superiore di Sanità ha stilato la carta del rischio cardiovascolare, una serie di tabelle che permettono di calcolare il rischio individuale di subire un evento cardiovascolare maggiore (infarto e ictus), fatale o non fatale, nei successivi 10 anni, per persone tra i 40 e 70 anni che non ne hanno già subito uno. Questa carta è un valido strumento a disposizione dei medici di base, ma è disponibile anche online. Occorre compilare la scheda con alcuni dati personali come età, sesso, il valore della glicemia, del colesterolo totale e HDL (occorre avere un prelievo di sangue recente) e il valore della pressione arteriosa massima. Inoltre è necessario specificare se si sta seguendo una terapia antipertensiva, se si è diabetici e se si è fumatori. Attraverso questi semplici dati, il programma mostrerà l’entità del vostro rischio cardiovascolare nei successivi dieci anni con tre diversi possibili risultati: lieve, moderato o severo.

 

I fattori di rischio modificabili sono invece quei fattori su cui l’ambiente e lo stile di vita possono influire direttamente, sia in senso positivo che negativo. Ovvero:

 

 

IPERTENSIONE

La pressione arteriosa è la pressione che il cuore esercita per far circolare il sangue nel corpo (si misura in millimetri di mercurio, mmHg). Il valore è dato da due numeri: il primo è la pressione sistolica o massima, il secondo la diastolica o minima.

  • Pressione arteriosa sistolica: si misura al momento in cui il cuore si contrae e pompa il sangue nelle arterie. Comunemente chiamata «massima».

  • Pressione arteriosa diastolica: si misura tra due contrazioni, mentre il cuore si rilassa e si riempie di sangue. Comunemente chiamata «minima».

Si considera desiderabile una pressione che non supera i 130 mmHg per la sistolica e gli 80 mmHg per la diastolica. Il valore della pressione varia normalmente nel corso della giornata: aumenta al mattino, con lo sforzo, le emozioni, il freddo o il dolore, e diminuisce con caldo, il riposo e il sonno.  Si parla di ipertensione quando la pressione arteriosa supera i valori di 140/90 mmHg, indipendentemente dall’età e da altre condizioni patologiche concomitanti. L’ipertensione si sviluppa quando le pareti delle arterie di grosso calibro perdono la loro elasticità naturale e diventano rigide. E i vasi sanguigni più piccoli si restringono. L’ipertensione affatica il cuore, può aumentarne le dimensioni, renderlo meno efficiente e favorire l'aterosclerosi. Per questo le persone che hanno la pressione alta corrono un rischio maggiore di avere un infarto o un ictus. L’ipertensione, inoltre, può causare insufficienza renale e danneggiare la vista.

 

 

COLESTEROLEMIA

Il colesterolo è una molecola della classe dei lipidi (o grassi) che costituisce la membrana delle nostre cellule. È prodotto per la maggior parte dal fegato e viene utilizzato nella sintesi di alcuni ormoni fondamentali, oltre a giocare un ruolo importante nella produzione della vitamina D. Oltre alla quota prodotta normalmente dall’organismo, il colesterolo può essere introdotto con l’alimentazione: è presente nei cibi ricchi di grassi animali come carne, burro, salumi, formaggi, tuorlo d’uovo e frattaglie. Un eccesso di colesterolo, o ipercolesterolemia, nel sangue può essere tuttavia molto dannoso per cuore, arterie e cervello.


A livello delle arterie, il colesterolo può danneggiare il rivestimento interno dei vasi, dando il via a una serie di fenomeni degenerativi: le pareti dei vasi si fanno più rigide e si rivestono di «incrostazioni», cioè di placche aterosclerotiche. Le placche causano un restringimento dei vasi che ostacola il passaggio del sangue, oppure provocano dilatazioni anomale, cioè gli aneurismi. Se ne sono colpite le coronarie (le arterie del cuore), il rischio di un infarto del miocardio è molto elevato. L’accumulo di colesterolo nelle arterie che vanno al cervello (carotidi e loro diramazioni) predispongono all’ictus cerebrale. Nei fumatori, i danni si hanno in prevalenza sulle pareti dell’aorta, favorendo la formazione di aneurisma, oppure a carico delle arterie degli arti inferiori.


Occorre tuttavia ribadire che il rischio di malattie cardiovascolari dipende da diversi fattori. Il danno arrecato dal colesterolo alle arterie, per esempio, è molto più grave in chi soffre d’ipertensione. Chi ha la pressione bassa può convivere tutta la vita anche con livelli più elevati di colesterolo totale senza conseguenze rilevanti. Chi, all’opposto, presenta livelli di colesterolo accettabili, ma una pressione arteriosa leggermente superiore ai valori normali, corre rischi maggiori. Ad aumentare l’esposizione al rischio cardiovascolare, dunque, non è la presenza di un singolo fattore come colesterolo alto, ipertensione, obesità o diabete, ma la loro somma.

 


DIABETE

Tra i nutrienti che assumiamo con l’alimentazione sono fondamentali i carboidrati o zuccheri, tra cui il glucosio è quello usato più facilmente dall’organismo per produrre energia. Il pancreas produce un ormone, l’insulina, che facilita l’ingresso del glucosio nelle cellule. Le persone malate di diabete non producono affatto insulina (diabete di tipo I), ne producono poca, o non sono in grado di usarla come dovrebbero (diabete di tipo II): questo provoca un innalzamento del livello di glucosio nel sangue, cioè un aumento della glicemia. Si parla di diabete quando la glicemia misurata a digiuno almeno due volte a distanza di una settimana è uguale o superiore a 126 mg/dl.


Esistono due forme di diabete:

  • il diabete di tipo 1, o insulino-dipendente, da cui sono affette circa il 10 per cento delle persone diabetiche e che colpisce i giovani;

  • il diabete di tipo 2, o non insulino-dipendente, da cui sono affette circa il 90 per cento delle persone diabetiche che è molto spesso legato all’eccesso di peso.

Le cause del diabete di tipo I sono essenzialmente genetiche. Il diabete di tipo II dipende dall’età, dalla familiarità e da abitudini non salutari, come uno stile di vita sedentario, un’alimentazione troppo ricca di zuccheri e l’obesità. Il diabete è una malattia importante, che provoca complicanze vascolari in tutti i distretti e in particolare a carico delle arterie coronariecarotidi, e degli arti inferiori (danno macro-vascolare), e alle arterie dell’occhio, del rene e del sistema nervoso periferico (danno micro-vascolare). La malattia vascolare del diabetico è in genere più diffusa, più severa rispetto a quella di un soggetto non diabetico e molto spesso è calcifica. Si tratta, a tutti gli effetti, di una patologia equivalente a una coronaropatia. In questo scenario, la coesistenza di altri fattori di rischio, fumo in primis, diventa una miscela esplosiva.   

 


OBESITA'

L’eccesso di peso è l'anticamera di parecchi fattori di rischio per le patologie cardiache, come colesterolo alto, ipertensione e diabete. I chili di troppo fanno lavorare eccessivamente il cuore anche per svolgere le funzioni normali. Una corretta valutazione del rischio cardiovascolare comprende la valutazione dell’indice di massa corporea (IMC, o BMI in anglosassone) e la misurazione del giro vita. L’indice di massa corporea si ottiene attraverso la formula peso (in kg)/altezza (in metri) al quadrato: valori compresi tra 25-29.9 descrivono una situazione di sovrappeso, mentre valori superiori ai 30 configurano una condizione di obesità.


Il girovita rappresenta la misurazione della circonferenza presa nel punto medio tra l’ultima costa e la cresta dell’anca (che generalmente corrisponde alla linea dell’ombelico). Questa misura non dovrebbe superare i 94 centimetri per l’uomo e gli 80 centimetri per la donna. Quando i valori superano i 103 cm per l’uomo e gli 88 cm per la donna, la probabilità di ammalarsi diventa davvero alta. La circonferenza vita è importante perché il grasso corporeo non è tutto uguale. In particolare, il tessuto adiposo concentrato nella zona addominale sembra essere particolarmente correlato a un aumento delle probabilità di soffrire di malattie cardiovascolari.


Evidenze scientifiche, infatti, mostrano che per prevedere il rischio cardiaco conta anche la distribuzione del grasso nel corpo: a parità di indice di massa corporea sono più esposti i soggetti con una conformazione corporea «a mela», con accumulo di grasso viscerale, rispetto a chi ha una conformazione corporea «a pera», con accumuli su cosce e glutei. Infine, non bisogna sottovalutare l’importanza del fattore tempo. Convivere con i chili in eccesso per anni o decenni può fare la differenza, in negativo, per la salute di arterie e coronarie in età adulta.

 

FUMO

Oltre all’insorgenza di tumori come quello polmonare, il fumo rappresenta un importantissimo fattore di rischio cardiovascolare soprattutto nelle fasce giovanili. Il fumo riduce la quantità di ossigeno che arriva al cuore, aumenta la pressione sanguigna e il battito cardiaco, danneggia le arterie favorendo la vasocostrizione e lo spasmo e favorisce la malattia aterosclerotica. Tutto ciò aumenta le probabilità di ictus o di infarto, di progressione dell’arteriopatia degli arti inferiori ed è il fattore di rischio più importante per la formazione e progressione e dell’aneurisma dell’aorta addominale.


Lo studio Interheart ha confermato come il fumo sia una delle cause più importanti di infarto miocardico non fatale, specie nei giovani (sotto i 40 anni). Fumare è dannoso in tutti i modi - sigarette, pipa, sigaro, tabacco masticabile - e il rischio è correlato strettamente al numero delle sigarette fumate: 5 sigarette fanno meno male di 20, ma anche con poche sigarette non esiste il rischio zero. Inoltre anche il fumo passivo aumenta il rischio di patologie cardiovascolari per chi è esposto, uomo o donna, a casa o nell’ambiente di lavoro, in relazione al grado di contatto e alla durata dell’esposizione. Ogni anno nel mondo muoiono 8 milioni di persone per malattie dovute al consumo di tabacco (1 persona ogni 4 secondi). In Italia sono circa 80mila i morti l'anno per malattie dovute al fumo, di cui il 25 per cento in età compresa tra 35 e 65 anni. La speranza di vita di un fumatore è otto anni inferiore rispetto a un non fumatore.


Eppure non è mai troppo tardi per smettere, indipendentemente da quando si abbia iniziato e da quanto si fumi. Smettere di fumare allunga la speranza di vita e riduce l'insorgenza di moltissime malattie:

  • chi smette di fumare tra i 35 e 39 anni vive in media, rispettivamente, 5 e 3 anni di più rispetto ai coetanei che continuano a fumare; chi smette tra i 65 e i 69 anni aumenta l’aspettativa di vita in media di 1 anno;

  • la pressione del sangue e la frequenza del battito cardiaco diminuiscono dopo venti minuti dall’ultima sigaretta. Il rischio di avere un infarto cardiaco si riduce del 50% dopo 1 anno;

  • Da 5 a 15 anni dopo avere smesso, il rischio di ictus si riduce al pari di quello di un non fumatore;

  • Dopo 15 anni, il rischio di una cardiopatia coronarica è simile a quello di chi non ha mai fumato.

Smettere di fumare migliora anche la qualità della vita: olfatto e gusto migliorano già dopo alcuni giorni, la pelle ritorna più luminosa dopo alcune settimane, i denti diventano più bianchi e l'alito più gradevole, il respiro migliora e scompare la tosse da fumo, ci si muove più agilmente e, in generale, ci si sente meglio e più in forma.



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