Alessandra Marinelli, una dei 179 ricercatori sostenuti nel 2015 da Fondazione Veronesi, a Milano studia le molecole vegetali che proteggono il nostro cuore
Alessandra Marinelli è una dei 179 ricercatori di eccellenza sostenuti da Fondazione Umberto Veronesi nel 2015, premiati giovedì 23 aprile nell’aula magna dell’Università degli Studi di Milano alla presenza di autorità del mondo scientifico e civile. E proprio nella stessa università, nel laboratorio diretto da Katia Petroni, Alessandra, biologa e dottore di ricerca in Biologia Molecolare e Cellulare, lavora nell’ambito della nutrigenomica, ovvero la scienza che studia come le molecole dei cibi influenzano la nostra salute. Alessandra, in particolare, studia gli effetti protettivi sul cuore delle antocianine, i pigmenti vegetali che conferiscono colore rosso e blu-viola a frutta e verdura, come frutti di bosco, arance rosse, fichi e melanzane.
Alessandra, quali importanti applicazioni ha la nutrigenomica sulla salute?
«Capire come e perché ogni molecola presente negli alimenti interagisce col nostro DNA è fondamentale per sapere cosa possiamo fare e come possiamo mangiare per aiutare il nostro organismo a mantenersi in salute e a prevenire le più importanti malattie che ci colpiscono, come i tumori e le malattie cardiovascolari».
In cosa consiste la tua ricerca?
«Il mio obiettivo è studiare gli effetti cardioprotettivi di una dieta arricchita in antocianine, in particolare nell’invecchiamento e nelle rigenerazione del cuore. Il nostro cuore, dopo la nascita, perde gran parte delle sue capacità di rinnovamento e questo può essere un grosso problema a seguito di un trauma, come un infarto o un’insufficienza cardiaca. Questo avviene perché nelle cellule del cuore intervengono delle molecole regolatorie, chiamate micro-RNA. Le antocianine presenti nei cibi possono agire su queste molecole regolatrici, con un effetto finale protettivo sul cuore: l’obiettivo della mia ricerca è capire il meccanismo».
Quali prospettive, anche a lungo termine, apre la tua ricerca sulla clinica?
«Una maggiore comprensione dei meccanismi di azione delle antocianine porterà a miglioramenti nelle formulazioni alimentari e nelle raccomandazioni fornite ai consumatori su cosa mangiare per avere un cuore sano e ridurre l'impatto delle malattie cardiovascolari. Inoltre la ricerca fornirà anche nuovi biomarcatori utili per monitorare l'efficacia di un trattamento dietetico sulla salute».
Qual è l’aspetto più bello del tuo lavoro?
«Il piacere, la gioia impagabile della scoperta, il non fermarci all’apparenza delle cose ma cercare di migliorare la qualità della nostra vita».
E cosa invece eviteresti volentieri?
La burocrazia e le difficoltà per ottenere contratti e fondi. La ricerca ha bisogno di liberare e incoraggiare energie e talenti. È necessaria quindi una semplificazione normativa e procedurale che sappia abbracciare qualità, essenzialità, tempestività ed efficienza dell’azione amministrativa.
Se ti dico scienza, cosa ti viene in mente?
«Il desiderio di conoscere e andare oltre le apparenze, i pregiudizi e le superstizioni, sempre alla ricerca di strade nuove per consentire il progresso delle civiltà, portando salute, prosperità e un miglioramento della qualità della vita».
Perché hai scelto la strada della ricerca?
«La mia passione per la biologia nasce dai tempi del liceo, ma paradossalmente non da una brava insegnante che mi trasmise l’amore per la scienza, tutt’altro! La biologia mi affascinava molto, ma non trovando molto stimolanti i metodi della mia insegnante, approfondivo più del dovuto gli argomenti da lei trattati. Nel corso dei tanti pomeriggi passati a consultare i libri delle mie due sorelle maggiori o grandi tomi in biblioteca capii quanto fosse bella e affascinante la materia. In seguito ho avuto la fortuna di incontrare ricercatori competenti e professionali che hanno saputo riaffermare questa passione».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Difficile ragionare così a lungo termine a causa della precarietà e della scarsità di risorse in cui purtroppo versa il mondo della ricerca. Finché ne avrò la possibilità voglio continuare a lavorare in laboratorio e dare il meglio con la speranza di contribuire a fare buona ricerca».
Quanto è importante, secondo te, investire nella ricerca per una nazione, in particolare per l’Italia?
«Investire nella ricerca in Italia è necessario: è la base della competitività e di un circuito virtuoso tra università e mondo del lavoro. La ricerca è un’attività dinamica che permette di costruire un patrimonio di conoscenze e dare nuova linfa al sistema produttivo e renderlo più competitivo. Nel nostro Paese gli investimenti in ricerca e sviluppo sono molto inferiori alla media dell’Unione Europea; è solo grazie al finanziamento di enti privati, come Fondazione Veronesi, che abbiamo la possibilità di procedere nelle ricerche».
Qual è il senso profondo che dà significato al tuo lavoro?
«Fare scienza è un mestiere meraviglioso in cui porti avanti, nel tuo piccolo, la gigantesca impresa dell’umanità di comprendere il mondo in cui viviamo e, alla fine, noi stessi».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.