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Agnese Collino
pubblicato il 11-07-2016

Nuove strategie per produrre la silimarina



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La componente, estratta dal cardo, mostra proprietà benefiche per diverse patologie. Laura Simoni studia come produrla in maniera più economica e sostenibile

Nuove strategie per produrre la silimarina

La dieta è un elemento chiave per la nostra salute, e in particolare il consumo di alcuni composti di origine vegetale gioca un ruolo fondamentale per il nostro benessere. Per questo Fondazione Umberto Veronesi da anni promuove la ricerca nell’ambito della nutraceutica, per individuare alimenti preziosi per la prevenzione e la cura delle malattie. Il cardo mariano (Silybum marianum) è una delle piante officinali i cui effetti benefici sono noti da tempo: storicamente impiegato in decotti per la sua attività depurativa sul fegato, ne conosciamo oggi i principi attivi e le proprietà farmacologiche. Buona parte delle sue proprietà sono attribuite alla silimarina, un mix di sostanze antiossidanti ed epatoprotettive impiegate nella moderna fitoterapia e le cui tante possibili applicazioni terapeutiche e cliniche sono in corso di esplorazione. E proprio la silimarina è al centro del progetto di Laura Simoni (nella foto), biologa di Vigevano che lavora come ricercatrice post-dottorato all’Università degli Studi di Milano grazie ad una borsa della Fondazione Umberto Veronesi.

Laura, in che cosa consiste la tua ricerca?

«La silimarina possiede notevoli proprietà antiossidanti e protettive per il fegato, e attività terapeutiche in diverse malattie neurologiche, nefrologiche e cardiologiche. Test preclinici evidenziano anche significativi effetti antitumorali, tra cui l'inibizione della crescita delle cellule tumorali nel cancro della prostata, della pelle, del seno e della cervice uterina. La silimarina disponibile sui mercati farmaceutici e nutraceutici è estratta dai frutti secchi di cardo mariano. I metodi convenzionali per la produzione di silimarina presentano però diversi limiti, dovuti alla scarsa resa delle coltivazioni di cardo e alla stagionalità di accumulo della silimarina nei suoi frutti. Per questi motivi, la mia ricerca punta a sviluppare un sistema scalabile per produrre la silimarina in vitro, basandoci sull’utilizzo di colture cellulari».

Quali vantaggi offrirebbe la produzione di silimarina in vitro?

«I vantaggi rispetto alla produzione agricola di silimarina sarebbero molteplici: ad esempio si otterrebbe un livello costante di produzione, indipendente dai vincoli ambientali, e con procedure di purificazione notevolmente semplificate. Il processo di produzione sarebbe inoltre più economico e a più alto rendimento».

Una fonte “alternativa” di silimarina insomma: che impatto avrebbe sulla nostra salute?

«La possibilità di ottenere più silimarina ad un costo più basso permetterebbe di fornire ai consumatori una gamma più ampia ed economica di prodotti farmaceutici e dietetici contenenti queste preziose sostanze, contribuendo così a diffonderne l’assunzione e i conseguenti effetti benefici sulla salute umana».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La complessità delle giornate lavorative, la progettazione degli esperimenti, l’attesa dei risultati e, infine, la scoperta».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La frustrazione di non ottenere i risultati sperati, ma soprattutto le difficoltà che si incontrano nel nostro paese per vedere riconosciuto il nostro operato di ricercatori».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commosso?

«Sono una persona piuttosto sensibile e mi commuovo spesso guardando un film o leggendo un libro. Ma per citare un episodio personale, mi sono commossa quando ho coronato uno dei miei sogni: vedere il Grand Canyon».

Tu hai sempre fatto ricerca in Italia: non hai avuto la tentazione di fare un’esperienza lavorativa all’estero?

«Non ho mai intrapreso un percorso lavorativo all’estero perché non sono disposta a lasciare i miei affetti, neanche per breve tempo. Voglio continuare a “lottare” per riuscire a trovare il mio spazio nel panorama della ricerca italiana, anche se è davvero difficile».

Hai qualche hobby o passione al di fuori dell’ambito di ricerca?

«Mi piace andare a concerti e a teatro, amo viaggiare e sono una autentica “divoratrice” di libri (il mio preferito è “I pilastri della Terra” di Ken Follett): se non avessi fatto la ricercatrice sarei sicuramente stata una bibliotecaria. Ma il mio hobby principale è sicuramente realizzare puzzle di grandi dimensioni: minimo 9000 pezzi, altrimenti non mi diverto».

Cosa ne pensi dei “complottisti” e delle persone contrarie alla scienza per motivi “ideologici”?

«Credo che la gente abbia fondamentalmente paura di tutto quello che non conosce, e che purtroppo sia facilmente influenzabile. Questo fa sì che sedicenti contestatori trovino sempre il supporto dell’opinione pubblica e diventino i leader di movimenti anti-progressisti. Purtroppo credo che la colpa sia in parte anche del mondo scientifico, che troppo spesso non riesce a relazionarsi con le persone comuni, spiegando in modo chiaro e divulgativo le proprie scoperte e quali sono i lati positivi e negativi dell’utilizzo di determinate procedure, terapie e così via, in modo che la gente possa imparare a valutare autonomamente»

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Conoscenza e progresso. Conoscenza del mondo, della natura, di tutti quei fenomeni che grazie alla scienza non sono più inspiegabili. Progresso che ci ha permesso, grazie alla ricerca, di migliorare le nostre vite».

 

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