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Ginecologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 15-12-2017

Screening cervicale: meno controlli per le donne vaccinate contro l'Hpv?



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Secondo una ricerca inglese alle donne vaccinate contro l'Hpv basteranno tre controlli nella vita, contro il tumore cervicale. Esperti italiani cauti: «Presto per dirlo»

Screening cervicale: meno controlli per le donne vaccinate contro l'Hpv?

La vaccinazione contro il papillomavirus (Hpv) può determinare una rivoluzione delle politiche di screening per il tumore della cervice uterinainserito nei Livelli Essenziali di Assistenza e garantito dal Servizio Sanitario Nazionale a tutte le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni? La domanda è di estrema attualità tra i ginecologi e gli oncologi, considerando che mancano tre anni all'ingresso delle prime ragazze vaccinate contro l'Hpv nella fascia d'età dello screening. La vaccinazione, infatti, da dieci anni in Italia è offerta attivamente e gratuitamente alle ragazzine nel dodicesimo anno di vita e dal 2017 estesa anche ai coetanei maschi. Gli intervalli attuali - tre anni per il Pap test e cinque anni per la ricerca del Dna virale - sono destinati a essere rivisti? Quasi certamente sì, anche se è ancora presto per aggiornare il calendario. 

QUALE TEST PREDILIGERE PER LO SCREENING DEL TUMORE DELLA CERVICE UTERINA?

L'IPOTESI: BASTERANNO TRE CONTROLLI NELLA VITA

L'occasione per fare chiarezza sull'argomento giunge da uno studio pubblicato sulle colonne dell'International Journal of Cancer. I ricercatori del Queen Mary Hospital di Londra hanno sviluppato un modello matematico partendo dal decorso naturale del tumore della cervice uterina e attualizzandolo con le due principali novità registrate negli ultimi dieci anni nel campo della prevenzione: l'introduzione della vaccinazione contro il papillomavirus (prevenzione primaria) e il progressivo ricorso alla ricerca del Dna virale nello screening (secondaria). Obiettivo: capire se le donne vaccinate contro la principale causa del tumore del collo dell'utero potranno sottoporsi a uno screening cervicale in maniera meno frequente rispetto a quella attuale, senza che ciò abbia alcun impatto sui numeri della malattia. La loro risposta è stata positiva. Il calendario aggiornato, secondo le ipotesi, prevederebbe tre controlli: a 30, 40 e 55 anni. «Il beneficio sarebbe lo stesso che oggi si trae dai dodici controlli indicati», hanno messo nero su bianco i ricercatori. Quanto alle donne non vaccinate, invece, l'Hpv-test permetterebbe comunque di dilatare l'intervallo tra i controlli: che potrebbero non essere più di sette nel corso della vita.

PERCHE' E' UTILE VACCINARSI CONTRO IL PAPILLOMAVIRUS?

LE PERPLESSITA' DEGLI ESPERTI

L'ipotesi è al vaglio degli esperti da tempo e riguarda in realtà non soltanto le donne vaccinate. Secondo una ricerca pubblicata sul British Medical Journal, in futuro si potrebbe arrivare a un'indagine di popolazione decennale a prescindere dalla vaccinazione: grazie alla progressiva evoluzione del test di screening, che con la ricerca del Dna del papillomavirus permette di essere più sicuri per un periodo di tempo più lungo. Ma l'ipotesi dei ricercatori britannici va oltre, perché punta a valutare l'impatto della vaccinazione sulle politiche sanitarie, in termini di screening. «Il lavoro è rigoroso, anche se manifesta alcuni limiti: al momento non mi sento di dire che questa strada possa essere sempre sicura - commenta Enrico Vizza, direttore dell'unità di ginecologia oncologica dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma -. I colleghi presuppongono che tutte le donne vengano vaccinate, ma questa realtà è diversa dalla nostra. E poi si esclude la possibilità che un tumore della cervice uterina non sia provocato dal papillomavirus: cosa che invece accade fino al due per cento delle nuove diagnosi. Il modello, dunque, potrebbe anche funzionare. Ma se ci caliamo nella realtà, la situazione è diversa». A ciò occorre aggiungere che non si possono avere dati certi sull'efficacia del vaccino prima di almeno altri quindici anni, considerata anche la giovane età del nonavalente. «Servirà del tempo prima che una svolta simile possa concretizzarsi nella pratica clinica - aggiunge Luisa Paterlini, responsabile del centro di citologia cervicovaginale di screening dei tumori del collo dell’utero dell’Azienda Sanitaria Locale di Reggio Emilia -. Trentacinque anni fa, quando si iniziò a effettuare il Pap test, le donne si controllavano ogni sei mesi. Dire loro oggi che possono stare tranquille per cinque anni comporta spesso un rifiuto. C’è la convinzione che, in un intervallo così ampio, possa svilupparsi la malattia».


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OCCORRE INCREMENTARE LA COPERTURA VACCINALE

In Italia le prime adolescenti vaccinate contro il papillomavirus nel 2007 hanno oggi 22 anni. Per loro lo screening comincerà nel 2020: al raggiungimento del primo quarto di secolo di vita. «Considerando gli studi incoraggianti a dieci anni dall'introduzione del vaccino, in futuro lo screening andrà modificato nella popolazione vaccinata - prosegue l'esperto -. Ma bisogna essere cauti aspettando i dati provenienti da larghi studi retrospettivi su popolazioni vaccinate anche a distanza di molti anni». In Italia la copertura vaccinale contro il papillomavirus raggiunge appena il sessanta per cento. «Occorre aumentare l'adesione dei gruppi attualmente interessati dalla politica vaccinale e recuperare le donne più grandi per cui la vaccinazione contro il papillomavirus potrebbe avere ancora un effetto protettivo: ovvero almeno quelle fino a 35 anni». Alle ricadute di tipo medico (meno diagnosi), seguirebbero quelle di natura economica (riduzione dei costi di screening e di trattamento). 


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Sono dunque ancora diverse le domande a cui occorre rispondere prima di capire come possano essere eventualmente modificati i programmi di screening: in modo da ottenere il massimo beneficio per tutti, senza compromettere la possibilità di fare diagnosi precoce del tumore della cervice uterina. Di ormai certo c'è - come confermato in prima battuta in un lavoro pubblicato nel 2014 su The Lancet e in ultima istanza da una ricerca pubblicata sul Journal of the National Cancer Institute - che la ricerca del Dna dell'Hpv è una strategia più efficace rispetto al Pap test. E che il co-testing, ovvero l'abbinamento delle due metodiche come da prassi negli Stati Uniti, aumenti i costi senza apportare particolari benefici. In Italia la ricerca del Dna virale al posto del Pap test è già una realtà in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Basilicata. Ma entro il 2018, come da indicazioni del Gruppo Italiano di Screening del Cervicocarcinoma, la transizione si completerà in tutte le regioni. Il protocollo prevederà l'effettuazione del test-Hpv e due possibili successivi scenari: l'effettuazione del Pap test (con Hpv positivo) o la ripetizione del test di screening dopo cinque anni (con primo test negativo). Nel primo caso, a un Pap test positivo, seguirà una colposcopia immediata. Con test negativo, il test per l'Hpv sarà ripetuto dopo un anno. Così sarà per le donne tra i 30 e i 64 anni. Tra i 25 e i 30, invece, ci si continuerà a sottoporre al Pap test, in quanto si ritiene che l'Hpv test nelle ragazze più giovani restituisca torppi falsi positivi.

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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