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Ginecologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 25-10-2016

Tumori al collo dell’utero: verso uno screening decennale?



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La diffusione dell’Hpv test al posto del Pap test potrebbe dilatare l’intervallo tra i controlli. In Italia la transizione è in atto

Tumori al collo dell’utero: verso uno screening decennale?

Pap test o Hpv test: sono queste le due procedure diagnostiche che oggi si utilizzano nello screening per il tumore della cervice uterina, inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza e dunque garantito dal Servizio Sanitario Nazionale a tutte le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni. In Italia entrambe le metodiche continuano a essere utilizzate, con cadenza differente: il Pap test viene effettuato ogni tre anni, mentre nelle regioni che sono già passate alla ricerca del Dna del papillomavirus umano (Hpv) l’esame viene effettuato (nelle donne over 30) ogni cinque anni. Ma un nuovo studio apre all’ipotesi di diluire ulteriormente nel tempo i controlli.

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CON LA RICERCA DEL DNA VIRALE CONTROLLI MENO SERRATI

«Lo screening per il tumore della cervice uterina potrebbe essere effettuato ogni dieci anni nelle donne che risultano negative alla ricerca del Dna del papillomavirus». È questo il messaggio che emerge da una ricerca olandese, pubblicata sul British Medical Journal. Il messaggio diffuso dagli studiosi di Amsterdam e di Rotterdam, in futuro, potrebbe riguardare tutte le donne con più di 40 anni risultate negative alla ricerca del Dna del papillomavirus umano (Hpv), ritenuto la causa più frequente dell’insorgenza del tumore della cervice uterina (2200 casi attesi in Italia nel 2016).

La ricerca, durata 14 anni, è stata condotta su oltre quarantamila donne adulte (29-61 anni) con l’obiettivo di valutare se il passaggio definitivo alla ricerca del Dna virale come procedura di screening possa essere utile anche a estendere gli intervalli dei controlli. Entrate negli «anta», le donne che hanno superato almeno una volta l’esame senza conseguenze, possono ritenersi pressoché certe di non sviluppare un tumore al collo dell’utero. Motivo per cui l’intervallo dei controlli potrebbe essere esteso a dieci anni, senza particolari rischi per la salute.

QUAL E' LA METODICA DI SCREENING PIU' ADATTA?

GLI ESPERTI ITALIANI PREDICANO PRUDENZA

Le donne arruolate nello studio - l’Olanda è stato tra i primi Paesi a virare verso l’Hpv test, al pari dell’Italia, dove nel 2014 sono state inviati 500mila inviti a sottoporsi alla ricerca del Dna virale - sono state assegnate in modo casuale a due tipologie di intervento. I due gruppi sono stati sottoposti alla ricerca del Dna virale e a un successivo esame citologico, ma l’esito dell’esame di screening del gruppo di controllo non è stato comunicato alle signore e ai loro medici. In questo modo i ricercatori hanno potuto dimostrare che l’utilizzo del test Hpv riduce l’incidenza del tumore alla cervice uterina, risultando più efficace rispetto al Pap test, ma soprattutto che nelle donne con più di quarant’anni per cui l’esame ha dato un esito negativo, il rischio di sviluppare la malattia è inferiore del 72 per cento rispetto alle più giovani.

«Le conclusioni dello studio sono abbastanza solide, ma servirà del tempo prima che una svolta simile possa concretizzarsi nella pratica clinica - dichiara Luisa Paterlini, responsabile del centro di citologia cervicovaginale di screening dei tumori del collo dell’utero dell’Azienda Sanitaria Locale di Reggio Emilia -. Trentacinque anni fa, quando si iniziò a effettuare il Pap test, le donne si controllavano ogni sei mesi. Dire loro oggi che possono stare tranquille per cinque anni comporta spesso un rifiuto. C’è la convinzione che, in un intervallo così ampio, possa svilupparsi la malattia».


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DIFFERENZE TRA I DUE TEST

L’intervallo tra le due procedure diagnostiche è giustificata dal differente approccio scientifico. Se col Pap test si andava alla ricerca di una lesione cellulare, da approfondire poi ricorrendo a una colposcopia ed eventualmente a una biopsia, la ricerca del Dna virale comunica il contatto con il papillomavirus, che non sempre dà però origine al processo neoplastico. Se il test risulta positivo, alla donna viene raccomandato di sottoporsi a un Pap test. Se anche questo è positivo, si consiglia una colposcopia. Se invece la citologia non presenta alterazioni importanti, la donna ripeterà il test Hpv dopo un anno. Motivo per cui il riconoscimento dell’agente eziologico concede maggiori margini di manovra e dunque un intervallo più ampio nei controlli.

 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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