Con la quarantena aumentate le richieste d'aiuto delle donne seguite dai centri antiviolenza. L'esperta: «Noi ci siamo, anche con la pandemia»
«Crollo delle telefonate delle donne maltrattate? No, devo dire che noi siamo in controtendenza». Manuela Ulivi, avvocato, è Presidente della Casa di accoglienza delle Donne maltrattate di Milano (Cadmi), il primo rifugio antiviolenza a nascere in Italia nel 1986. Le sue parole testimoniano che la quarantena, per taluni anche confortevole, per altri è stata molto diversa. Soprattutto per alcune donne.
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ASSISTENZA A DUE VELOCITA'
«Ci sono state due fasi - racconta l'esperta al Magazine di Fondazione Umberto Veronesi -. Un primo tempo di tutto fermo. Anche noi eravamo paralizzate. Che fare? Con la chiusura di tutto, l’obbligo a stare in casa… Noi abbiamo un numero fisso (02-55015519, ndr) e subito avevamo inserito le deviazioni di chiamata sui nostri cellulari. Ma anche così abbiamo ricevuto 15 chiamate in due settimane, che di solito riceviamo in un giorno. Poi le telefonate sono aumentate, forse merito anche della campagna che abbiamo fatto circolare “La violenza non si ferma”. In un mese 179 contatti, di cui soltanto 29 nuovi». In che senso «nuovi»? «A contattarci sono state anche donne che non ci avevano mai cercato prima. E, comunque, di quelle che non usciranno mai dalla convivenza. Cercano un sostegno, consigli, un rapporto caldo che viene espresso dalle nostre operatrici. Grazie a questa accoglienza tante - in questo periodo la maggior parte - ci chiamano in maniera continuativa nel tempo. In noi trovano delle vere amiche, competenti, che non le giudicano. Che non le chiedono di lasciare il compagno torturatore se non se la sentono».
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RIFUGIO CON QUARANTENA
Il Cadmi ha sette case-rifugio dagli indirizzi segreti, fare nuovi inserimenti in questa fase è stato anche più complicato, con la minaccia del coronavirus. «Ma siamo attentissime alla salute - spiega l’avvocata Ulivi -. Non c’è assembramento, sono appartamenti da 2 a 6 donne al massimo. In questo periodo in 7 ci hanno chiesto aiuto per uscire di casa. Per due abbiamo organizzato la quarantena in uno spazio libero (oggi vivono qui circa 20 donne in totale, ndr) e per le altre 5 abbiamo risolto attivando la rete di parenti o amici». Ma, bloccate dalle restrizioni per il Covid-19 e a stretto contatto 24 ore su 24 con il marito maltrattante, come fanno a telefonarvi queste donne? «Quando vanno a fare la spesa o in farmacia, se devono portare fuori il cane. Riassumendo, possiamo dire che sono diminuiti i contatti nuovi, mentre sono più che raddoppiate le telefonate di donne già da tempo in rapporto con noi e che non sono ancora pronte per separarsi. Chiamarci, coltivare una relazione già impostata con noi può essere un aiuto importante».
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LA LIBERTA’ PORTERÀ TANTE SEPARAZIONI
Sulla sua esperienza con le donne maltrattate, Manuela Ulivi ha da poco scritto un libro: Vive e libere. La violenza sulle donne raccontata dalle donne (Edizioni San Paolo, 208 pagine, 18 euro), sempre per far capire a mogli, compagne, fidanzate che una via d’uscita c’è da un legame soffocante o torturante. «Finita la quarantena, mi aspetto un grande aumento di separazioni da parte di coppie già in difficoltà. Lo stare insieme in casa tutti i minuti, farà esplodere la voglia di libertà. Darà forza alla ribellione». Il Governo ha mostrato attenzione al problema, emettendo una circolare rivolta a tutte le forze dell’ordine per sollecitare la sensibilità verso le donne in difficoltà, uno stretto contatto con i centri antiviolenza, aggiungendo al numero telefonico 1522 istituito anni fa dalle Pari Opportunità una chat così che la donna non debba parlare per comunicare ma, silenziosamente, scrivere la sua richiesta di aiuto (www.1522.eu). Sono stati stanziati anche 30 milioni per i centri antiviolenza: che impatto può avere questa misura? «Non si tratta di trenta milioni in più, ma del budget annuale riservato al nostro settore - aggiunge l'esperta -. Dividendolo per tutti i centri, la cifra che arriva è modesta. Nel nostro caso, l'importo è ancora inferiore. Questo perché i contributi vengono distribuiti attraverso le Regioni e Regione Lombardia esige come riscontro il codice fiscale di ogni donna aiutata. Loro vogliono che queste persone siano tracciabili, ma il nostro lavoro è basato sulla segretezza. Così abbiamo rinunciato al contributo».
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I «LIVIDI» SULL’ANIMA
Come si manifesta, in questo periodo, la violenza domestica? «Il torturatore - commenta Ulivi - non è sempre quello che picchia. Spesso è uno che ti demolisce psicologicamente, ti dice e ti convince che non sai fare niente e che non vali niente. Ti tiene in una gabbia psicologica insidiosa che ti annulla». La donna maltrattata non è dunque necessariamente quella con i lividi in faccia. «Le cito questo caso: lui e lei medici, lui la tiene in soggezione svalutativa su tutto. Lei non ne può più, ci contatta. “Vorrei lasciarlo, ma come faccio, poi, per le pratiche delle tasse, per i rapporti con la banca? Io non sono capace!”. Le abbiamo insegnato un po’ di cose pratiche e l'abbiamo supportata psicologicamente. La prima volta che è riuscita a fare una semplice pratica in posta come è uscita ci ha telefonato urlando in mezzo alla strada: “Ce l’ho fatta!”. Pensi come era annientata».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.