L'attivazione cronica del sistema immunitario e la persistenza di frammenti virali potrebbe essere la causa del Long-Covid. I risultati pubblicati su Science Translational Medicine
Perché alcune persone soffrono di Long-Covid anche a distanza di qualche anno dall'infezione? Una possibile spiegazione sembrerebbe risiedere nella costante attivazione del sistema immunitario in risposta alla presenza di frammenti virali che rimangono "intrappolati" nel nostro corpo. A dimostrarlo è uno recente studio pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine. L'analisi ha fornito importanti indicazioni che potrebbero essere sfruttate per affrontare e risolvere i sintomi del Long-Covid.
CHE COS'È IL LONG-COVID?
Ad inizio pandemia si pensava che Covid-19 fosse esclusivamente una malattia acuta. Passata l'infezione, risolto il problema. Purtroppo con il passare del tempo è emersa sempre più chiaramente la capacità del virus di causare, in alcune persone, sintomi persistenti. Uno strascico dell'infezione che gli addetti ai lavori hanno chiamato Long-Covid, quella serie di sintomi duraturi nel tempo come affaticamento, difficoltà respiratorie, dolori muscolari e articolari, mal di testa, problemi di concentrazione e memoria e molti altri.
INFIAMMAZIONE PERSISTENTE
Partendo da questa osservazione diversi gruppi di ricerca hanno incominciato ad indagare i motivi di tali sintomi persistenti. Uno di essi è quello guidato da Michael Peluso della University of California. Sin dai primi mesi di pandemia il gruppo di ricerca ha dato vita al programma LIINC (Long-term Impact of Infection with Novel Coronavirus) con l'obiettivo di seguire nel tempo le persone con sintomi da Long-Covid. Lo scienziato statunitense, esperto di HIV, ha adattato l'infrastruttura della sua ricerca con l'obiettivo di comprendere i meccanismi alla base di questa vera e propria patologia cronica. Per farlo ha utilizzato alcune tecniche di imaging per verificare lo stato di attivazione delle cellule del sistema immunitario in risposta al virus. Dalle analisi è emerso innanzitutto che i pazienti con Long-Covid presentano un'attivazione del sistema immunitario persistente e duratura in alcuni particolari distretti corporei come cervello, midollo spinale, polmoni e intestino. Un dato che si aggiunge a quello relativo al cuore, raccontato in questo nostro precedente articolo. Inoltre gli scienziati hanno rilevato, attraverso una biopsia, la presenza di frammenti del virus all'interno dell'intestino. Una caratteristica che suggerisce come il virus possa persistere nel corpo molto più a lungo di quanto precedentemente ipotizzato.
I POSSIBILI RIMEDI
Secondo quanto pubblicato, la cronicità dei sintomi potrebbe dunque essere causata sia dalla costante attivazione del sistema immunitario sia dalla persistenza del virus. Due caratteristiche che, se confermate, aprirebbero nuovi scenari nella cura del Long-Covid. Una dei possibili trattamenti da espolare potrebbe essere quello relativo all'utilizzo di terapie immunomodulanti e trattamenti mirati al virus residuo.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.