In chi ha subito aggressioni da bambino, o ne è stato testimone, aumenta il rischio di soffrire di mal di testa ricorrenti. Forse una forma di “protezione” contro un continuo stato di allerta
Le violenze subite nell’infanzia possono lasciare il segno anche con ricorrenti emicranie. Lo dice uno studio canadese che ha ricostruito e seguito i percorsi di vita di tredicimila donne e diecimila uomini adulti. Tre i principali tipi di violenza emersi: assistere a scene di violenza tra i genitori in famiglia, abusi fisici e/o sessuali subiti. E a quanti più tipi di aggressioni un bambino è stato esposto tanto più gravi saranno le probabilità che da grande soffra di emicrania. Stando alle cifre indicate dagli studiosi dell’Università di Toronto e pubblicate sulla rivista Headache, per chi da piccolo aveva subito tutti e tre i tipi di violenza sono risultate tre volte più altre le probabilità di soffrire di emicrania da adulti in confronto con quanti hanno avuto un’infanzia serena.
Ma quel che ha più colpito i ricercatori è che il solo aver assistito a violenze in famiglia tra i genitori alza del 52 per cento tra gli uomini e del 64 per cento tra le donne le possibilità di continue emicranie da adulti rispetto a chi non ha questa storia pregressa. Per cautela scientifica, i ricercatori canadesi fano presente che i loro dati non bastano a stabilire un rapporto di causa-effetto tra infanzia violata e mal di testa da adulti, invitando altri a proseguire questa indagine. Pur con questa riserva, le cifre da loro riscontrate risultano importanti.
UN MALE PROTETTIVO
«L'osservazione della relazione tra maltrattamenti in infanzia ed emicrania è nota da tempo», commenta Carlo Lovati, responsabile del Centro cefalee all’Ospedale Sacco di Milano. «Gli abusi sessuali risultano modificare addirittura la probabilità di sviluppare emicrania con aura, una particolare forma di emicrania. La quale – sia chiaro – non è un generico mal di testa, ma una cefalea specifica primaria. Per tornare al tema, è un fatto che certe esperienze modificano la struttura del cervello».
Alla ricerca di un’ipotesi di spiegazione causale, il dottor Lovati osserva: «Ricordiamo che il cervello "emicranico" è ipometabolico (poche scorte energetiche) e iperattivo (sempre acceso, dunque con eccessivo consumo e con rischio di danno cellulare da deficit energetico). Su un tale cervello la crisi emicranica è protettiva: lo “spegne” affinché possa recuperare energia. Su questa base, è ipotizzabile che le vittime di situazioni pesantemente negative nell’infanzia vivano sempre in allerta mettendo il loro cervello a rischio di danno da deficit energetico: la risposta emicranica lo proteggerebbe da danni di tal genere».
UN MALE INUTILE
Ma altri studi suggeriscono che il modellamento cerebrale alla base di questa emicrania funzionale (mettere a riposo il cervello a rischio energetico) possa trasformarla in una forma cronica quotidiana "inutile", patologica in sé. Altri studi, ricorda Lovati, avevano trovato risultati analoghi a quella della ricerca di Toronto anche per situazioni più comuni vissute nell’infanzia come separazioni e assenze genitoriali “per lavoro”. «Sono tutti motivi», commenta Lovati, «per porre molta attenzione alle problematiche sociali dei bambini (dissidi familiari, separazioni, abusi, violenze...) in quanto possono modificare il cervello della persona in modo permanente ed organico. Si verifica un vero danno biologico». E più dura la situazione negativa e più modella il cervello. «Gli adulti», conclude lo specialista, «sono il risultato di un processo di crescita e sviluppo che risente di input esterni biologici (alimentazione, attività fisica), culturali (istruzione), emozionali positive (affetti) e negative (violenze, paure, insicurezze) che concorrono a modellare anche strutturalmente un individuo, a partire dal suo cervello».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.