Uno studio danese rassicura le donne: chi cerca un figlio con l'aiuto della fecondazione assistita non rischia più delle altre un tumore dell'ovaio
Prima è stata la volta del tumore al seno. Adesso del tumore dell'ovaio. Giunge un'altra rassicurazione per le donne che si sono sottoposte - e per chi ha in mente di iniziare l'iter - a una procedura di fecondazione assistita. Al momento, infatti, non ci sono dati che permettano di ipotizzare una correlazione diretta tra l'esecuzione di una procedura di procreazione medicalmente assistita (Pma) e l'insorgenza della neoplasia ginecologica. Quando il connubio si verifica, è più probabile che vi siano fattori di rischio comuni sia all'infertilità femminile sia alla malattia tumorale, e che la causa non sia il ricorso alla Pma per provare a esaudire il desiderio di avere un figlio.
Tumore al seno: la fecondazione in vitro non è un rischio
PMA E TUMORE DELL'OVAIO
A conferma di quanto detto, ci sono i risultati di uno studio presentato durante il congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia, appena conclusosi a Barcellona. A condurlo un gruppo danese, che ha posto a confronto l'incidenza della malattia rilevata in un gruppo di donne sottopostesi a una procedura di fecondazione assistita (in vitro o con iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo) con quella di rilevata in un gruppo più ampio di donne mai sottopostesi ad alcun trattamento analogo. I risultati presentato non hanno evidenziato differenze. Tra le donne che avevano affrontato un trattamento di fecondazione assistita, la percentuale di incidenza del carcinoma ovarico è risultata di poco superiore a quella rilevata nell'altro gruppo. Ma dal momento che l'analisi ha anche evidenziato come le diagnosi di cancro fossero più alte tra le donne senza figli (nullipare), i ricercatori hanno concluso che «non ci sono elementi per affermare che le probabilità di ammalarsi aumentino in conseguenza della stimolazione ovarica». Ad assolvere le procedure di fecondazione assistita - il 25 luglio festeggerà quarant'anni Louis Brown, la prima bambina nata in provetta: nel frattempo seguita da altre otto milioni di gravidanze giunte felicemente a termine - anche un ulteriore riscontro. Se il ricorso alla fecondazione assistita era dovuto all'infertilità da parte dell'uomo, il rischio di ammalarsi di tumore dell'ovaio risultava inferiore. Quanto basta per considerare sicura la stimolazione ovarica.
TUMORE DELL'OVAIO: DI FRONTE
A QUALI SINTOMI INSOSPETTIRSI?
«ASSOLTA» LA STIMOLAZIONE OVARICA
Commentando i risultati dello studio Anja Pinborg, ginecologa del dipartimento di fisiologia della riproduzione e centro della fertilità del Rigshospitalet di Copenaghen, ha voluto rassicurare le donne che hanno difficoltà a rimanere incinta. «La stimolazione ovarica non accresce il rischio di sviluppare un carcinoma, motivo per cui consiglio di andare avanti a chi sta pensando di ricorrere alla fecondazione assistita». Lo studio ha sgomberato il campo dai dubbi residui che gravavano sui farmaci utilizzati per la stimolazione, necessaria per portare avanti un percorso che possa concludersi con la fecondazione di un ovocita. Una visione basata sull'ipotesi che un aumento dell'attività ovarica possa essere un fattore scatenante la malattia: come si riscontra nelle donne nullipare, che hanno le mestruazioni troppo presto (menarca precoce) o che vanno in menopausa più tardi. Lo stesso non sembra invece accadere in seguito alla stimolazione ovarica che precede una procedura di procreazione medicalmente assistita: eseguita in laboratorio attraverso la fecondazione in vitro o la microiniezione spermatica.
I bambini nati in provetta non corrono un maggior rischio di tumore
PREDISPOSIZIONE GENETICA ED ETA' DELLA DONNA
La somministrazione di alcuni farmaci permette l’incremento dell’ovulazione che avviene in una donna. I protocolli della stimolazione - dosi e frequenza - vengono definiti su misura della singola paziente e della qualità dei suoi ovociti. Monitorando la risposta ovarica, una volta raggiunto un numero sufficiente di follicoli e di dimensioni adeguate, è possibile programmare il prelievo degli ovociti con cui poi portare avanti unan procedura di fecondazione assistita. A conti fatti, dunque, i fattori di rischio più significativi per il tumore dell'ovaio rimangono due: «L'età, in quanto il picco di incidenza della malattia si registra tra i 50 e i 60 anni, e la predisposizione genetica, responsabili delle diagnosi che si registrano in più giovane età», afferma Giovanni Scambia, direttore della divisione di ginecologia oncologica del Policlinico Gemelli di Roma. «Donne le cui madri, sorelle o figlie hanno avuto un tumore dell'ovaio, della mammella o dell’utero hanno maggiori probabilità di sviluppare la malattia».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).