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Ginecologia
Donatella Barus
pubblicato il 24-11-2011

Fecondazione assistita: questa la strada maestra per avere un figlio



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Un ginecologo di fama mondiale, Carlo Flamigni, spiega alle coppie che hanno problemi di infertilità come e dove rivolgersi per coronare il loro sogno

Fecondazione assistita: questa la strada maestra per avere un figlio
 

Pubblico o privato? Preferire l’ospedale dietro casa o mettersi in viaggio? Fidarsi del primo parere o chiederne altri? C’è un’intera selva di punti interrogativi che accompagna le coppie che scoprono o sospettano un problema di fertilità. Per loro (quasi 64mila coppie trattate in Italia nel 2009), oltre al trauma  di una diagnosi indesiderata e al timore di non poter mai diventare genitori, esiste l’oggettiva difficoltà a orientarsi nel labirinto della medicina riproduttiva.

 


DOCTOR SHOPPING 

Se ne è parlato in occasione del Congresso nazionale della Società italiana per la conservazione della fertilità. Elena Vegni, psicologa e psicoterapeuta, docente all’università di Milano, segnala una nuova preoccupante tendenza: «Un particolare fenomeno è quello noto come "doctor shopping": un comportamento non patologico, ma profondamente disadattivo per il malato che consulta per il medesimo problema più specialisti, andando a cercare la cura come se fosse una merce. Si tratta di un segno forte e vistoso della rottura del rapporto di fiducia con il medico e rappresenta un costo enorme sul piano emotivo per il paziente, per il medico e per la società». E proprio a un medico che nella sua carriera ha guardato negli occhi centinaia di pazienti infertili chiediamo un parere. Carlo Flamigni, ginecologo, fra le altre cose ha diretto per vent’anni il servizio di fisiopatologia della riproduzione e successivamente la clinica ostetrica e ginecologica all’università di Bologna, la pensa così: «Il disorientamento delle coppie di fronte all’offerta terapeutica è un problema vero». Che fare allora? Come muoversi? Ecco cosa farebbe Carlo Flamigni.

 


CENTRI PUBBLICI, ATTESE PERMETTENDO

«Se fossi una coppia infertile, privilegerei quando è possibile un centro pubblico. In teoria questo percorso dovrebbe essere intrapreso con il Servizio Sanitario Nazionale, si spende meno, spesso la casistica è consistente ed è un segno di esperienza. Ma la realtà è fatta di risorse limitate, liste d’attesa lunghe, donne che per età non possono permettersi di aspettare». In Italia l’età media di chi ricorre alla procreazione medicalmente supera i 36 anni (ma il 28,2 per cento ha più di 40 anni). I 350 centri censiti dal Registro nazionale sono per il 55 per cento privati non convenzionati, concentrati soprattutto nel centro, nel sud e nelle isole.

 


QUALITA’ RISULTATI 

«Una volta presa coscienza del problema, cercherei di capire quali centri offrono i risultati migliori nei casi come il mio. Avere dati oggettivi è spesso impossibile e quando ci sono ci si deve fidare di quanto comunicano i centri stessi, dato che non esistono controlli terzi». E’ importante, allora, cercare informazioni utili.

 


L’INTERLOCUTORE GIUSTO 

«Cercherei qualcuno a cui chiedere: ma questo è una persona seria? Non è molto utile andare dal medico dove si è trovata bene l’amica. Meglio chiedere innanzitutto al medico di base, al ginecologo o all’andrologo. Esistono anche le associazioni di pazienti, soprattutto donne, ma è meglio cercare quelle che non sono legate a un centro di cura: alcune sono molto valide e fanno un lavoro importante anche dal punto di vista sociale e legale. Consultare internet è un’ottima idea, purché si mantenga sempre il senso critico e si comprenda chi sta dietro le informazioni lette».

 

ALL’ESTERO? SOLO QUANDO SERVE 

Secondo uno studio apparso sulla rivista Human Reproduction, sarebbero fra le 3500 e le 4500 le coppie italiane che attraversano i confini per sottoporsi a cure. Circa 2.700 coppie emigrano per una donazione di gameti, dato che la legge italiana vieta la fecondazione eterologa (dati dell’Osservatorio sul turismo procreativo). «Andrei all’estero solo se necessario, come per l’eterologa, ma attenzione alle differenze enormi fra la vecchia Europa occidentale, forse cinica, ma spaventata dai tribunali, quindi attenta a muoversi sempre con responsabilità e controllo, e l’Europa dell’Est, in cui i prezzi sono bassi ma non sempre ci sono le garanzie necessarie e i centri si accendono e si spengono come  lampadine».

 


UN BUON  BIOLOGO MEGLIO DEL MEDICO FAMOSO 

Troppo facile andare sui soliti nomi  noti. «Eviterei di andare da chi è sempre in tv, da chi non fa che propagandare il proprio centro. E’ una medicina commerciale che tende a sfruttare la sofferenza. La gente ha spesso una cattiva percezione della tecnica e sottovaluta il peso del laboratorio. Fra un biologo e un medico, il primo è più importante ai fini della riuscita, ma i pazienti non lo sanno, nessuno glielo dice».

 

QUANDO CAMBIARE? 

E’ una scelta che va fatta con calma, in maniera meditata. «Abbandonare un centro perché è fallito un tentativo è sbagliato. Bisogna tenere conto che in medicina si impara dall’errore: al primo colloquio, a una donna che chiede “che possibilità ho?”si risponde con una mediana di una curva di Gauss basata sull’età. Al secondo, dopo un ciclo di trattamento magari andato male,  questa risposta sarà basata anche sulla risposta ovarica, quindi più attendibile». Al contrario, prosegue Flamigni «abbandonare un centro perché nessuno ti ha parlato, ti sei sentito un numero, il medico aveva fretta durante il colloquio è giusto. Se io andassi da un medico che guarda l’orologio uscirei senza neppure spiegargli il perché».

 

PREPARARSI ANCHE ALLE DELUSIONI 

La medicina della riproduzione, invece, «è un ambito in cui i pazienti hanno bisogno di lunghe conversazioni, perché è un luogo dove impera la delusione, fatto di tecniche poco generose. Devono sapere che stanno intraprendendo una strada che li metterà profondamente in discussione anche come coppia. Lei penserà: “Non mi tiene più la mano”. Lui: “Mi sta trascinando dove non voglio andare”. E’ necessario prepararsi prima, chiarendo le rispettive priorità, ciò che conta di più per me. Chi ha già un figlio per esempio deve considerare, prima di incamminarsi su una strada che potrà spegnere il sorriso della donna, che c’è un bambino che su quel sorriso ci campa». 

 

LA MEDICINA CHE VORREI 

«Ci vuole più serietà (e ce n’è poca), più compassione (e ce n’è pochissima) e poi forse più attenzione da parte dell’Ordine dei medici -  conclude Flamigni -. Dovrebbe essere una medicina basata su piccole virtù, la capacità di ascolto, l’informazione del paziente, che ha diritto di sapere perché ha diritto di scegliere. La compassione, in particolare, è un sentimento fondamentale nell’esercizio della professione medica. Non si impara all’università e non può essere sempre autentica, ma se talvolta risultasse vera, allora sì che saremmo dei buoni medici».

 

Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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