I «prazoli» sono fra gli antiacidi più usati per ulcere e gastriti. Uno studio evidenzia tassi di mortalità elevati tra gli assuntori più frequenti. L’efficacia degli inibitori di pompa protonica non è in dubbio, ma un italiano su 2 li usa quando non dovrebbe
Sono tra i medicinali più prescritti, anche nel nostro Paese. Secondo il rapporto sull’uso dei farmaci, redatto annualmente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), gli inibitori di pompa protonica, antiacidi usati per ulcere, gastriti e reflusso gastroesofageo, rientrano fra i rimedi più di frequente erogati a spese dell’assistenza convenzionata, secondi soltanto ai farmaci per l’apparato cardiovascolare. Sono farmaci noti anche come «prazoli»: fra i più diffusi l’omeprazolo, il lansoprazolo, l’esomeprazolo. Sono efficaci e il loro utilizzo ha reso curabili patologie difficili come le ulcere, ma il rischio di sovradosaggio è in agguato. Secondo una ricerca condotta dalla Washington University, pubblicata sulla rivista Bmj Open, l’utilizzo eccessivo degli inibitori di pompa protonica sarebbe collegato a un rischio di morte prematura, aumentato in ragione delle dosi di farmaco assunte.
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MORTALITA' PIU' ALTA
I ricercatori hanno osservato la reazione di due campioni di pazienti: sofferenti di bruciore di stomaco, ulcere o altri problemi gastrointestinali. I primi assumevano gli inibitori di pompa protonica, i secondi gli H2 antagonisti: tra i primi rimedi impiegati contro l’ulcera gastrica e il reflusso gastroesofageo, in quanto in grado di inibire il rilascio di acido cloridrico da parte della parete gastrica, ma con un meccanismo differente rispetto a quello impiegato dagli inibitori di pompa protonica. Come dichiarato da Ziyad Al-Aly, co-direttore del centro di epidemiologia clinica alla Washington University e prima firma della pubblicazione, «nel confronto tra le due categorie di pazienti, è emerso sempre un rischio di morte più alto tra gli assuntori degli inibitori di pompa protonica: indipendentemente dalla durata del trattamento». I rilievi sono avvenuti tra il 2006 e il 2008, mentre i tassi di morte sono stati rilevati fino ai cinque anni successivi dall’arruolamento nello studio. I ricercatori hanno messo nero su bianco che, «ogni cinquecento persone che assumono gli inibitori di pompa protonica per un anno, c’è una persona che muore». Un dato che, se rapportato ai milioni di consumatori annui, si tradurrebbe in migliaia di decessi precoci. Il rischio di morte è risultato aumentato al crescere dei periodi di terapia e tra i pazienti che li assumevano pur in assenza di un’indicazione medica specifica: con infezioni da Helicobacter pylori o diagnosi di esofago di Barrett o cancro dell’esofago. Se dopo un mese dal confronto tra i due gruppi non emergevano differenze significative, dopo uno o due anni di trattamento il rischio di morte tra gli assuntori di inibitori di pompa protonica risultava superiore fino al cinquanta per cento.
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LA TERAPIA NON DEVE DURARE MAI PIU' DI UN MESE
Dalla ricerca è emerso come i pazienti in cura con inibitori di pompa protonica fossero mediamente più anziani e anche messi peggio sul piano fisico: con incidenze maggiori di condizioni quali il diabete, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari. Due aspetti non trascurabili, che potrebbero aver avuto un ruolo nel determinare lo scenario finale. Ma secondo gli esperti, l’aumento di mortalità misurato non è comunque giustificabile con queste premesse. Da qui l’avvertimento: «Gli inibitori di pompa protonica, se assunti nelle condizioni giuste, possono salvare la vita. Ma un trattamento, come raccomanda anche la Food and Drug Administration, non dovrebbe mai superare le quattro settimane consecutive». Agli specialisti, gli autori della ricerca chiedono di «controllare la risposta terapeutica ed evitare che i pazienti proseguano con l’assunzione di farmaci antiacidi oltre il tempo previsto».
A COSA SERVONO GLI INIBITORI DI POMPA PROTONICA?
INIBITORI DI POMPA PROTONICA: QUANDO ASSUMERLI?
L’efficacia terapeutica degli inibitori di pompa protonica non è comunque in discussione. Si tratta di farmaci che, contrastando la secrezione acida da parte dello stomaco, hanno permesso di trasformare le ulcere gastriche e i sanguinamenti gastrointestinali in malattie curabili con i farmaci, senza l’obbligo di ricorrere all’intervento chirurgico. Detto ciò, negli anni s’è diffusa l’abitudine ad assumerli anche in presenza di una sintomatologia più vaga a carico del tratto superiore dell’apparato digerente. Come fa sapere l’Associazione Italiana dei Gastroenterologi Ospedalieri (Aigo), nel nostro Paese 1 paziente su 2 assume gli inibitori di pompa protonica senza averne effettivamente bisogno. Quali allora i casi in cui l’appropriatezza non è in discussione? Per fare chiarezza, i gastroenterologi hanno redatto un documento ufficiale, che indica i casi in cui la prescrizione è opportuna e sgombera il campo da alcune false indicazioni scientifiche: come l’assunzione da parte di tutti i pazienti che seguono una terapia con antinfiammatori non steroidei o a base di cortisonici o dei pazienti cirrotici (per prevenire il sanguinamento delle varici esofagee).
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LE CONSEGUENZE LEGATE ALL’ABUSO DI FARMACI ANTIACIDI
L’ultima evidenza è emersa da uno studio osservazionale, che dunque da solo non è sufficiente a provare una correlazione diretta tra l’assunzione dei farmaci e l’effetto riscontrato. Ma i ricercatori statunitensi si sono mossi lungo un sentiero già battuto da diversi colleghi, negli ultimi anni. Già nel 2013 un gruppo di medici italiani, osservando un campione di pazienti anziani dimessi da undici reparti italiani per acuti di medicina interna e geriatria, aveva riscontrato un aumento superiore al cinquanta per cento del rischio di mortalità tra gli utilizzatori di inibitori di pompa protonica nell’anno successivo alla dimissione. Mentre due anni fa era stata evidenziata una maggiore probabilità di sviluppare un infarto del miocardio. Più solide invece le conclusioni sintetizzate nel 2015 in una metanalisi pubblicata sul Canadian Medical Journal Association, che riferisce come uso prolungato degli inibitori di pompa protonica risulta correlato a un aumento delle fratture osteoporotiche , delle infezioni da clostridium difficile e da una riduzione dei livelli di magnesio e di vitamina B12 nel sangue.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).