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Redazione
pubblicato il 22-05-2013

Come si cura l'esofago di Barrett?



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Risponde Roberto Penagini, Professore Associato di Gastroenterologia dell’Università di Milano e Dirigente Medico dell’IRCCS Ospedale Policlinico

Come si cura l'esofago di Barrett?

Mi è stata fatta una diagnosi di esofago di Barrett: di che si tratta e quali sono le cure? S. B., Rovereto (Tn)

Si parla di esofago di Barrett quando il normale tessuto che riveste questo condotto muscolare, situato tra la faringe e la bocca dello stomaco, viene sostituito con un epitelio (mucosa) simile a quello che tappezza internamente le pareti dello stomaco o del duodeno (tratto iniziale dell’intestino tenue).

Questa nuova mucosa, che l’esofago genera spontaneamente, è una sorta di ‘meccanismo di difesa’ ai continui attacchi acidi dovuti ad un reflusso cronico.

L'esofago di Barrett può essere asintomatico, ma nella maggior parte dei casi si accompagna ai sintomi tipici della malattia da reflusso che l'ha generata quali rigurgito acido, pirosi (bruciori), difficoltà a deglutire gli alimenti e dolore retro sternale, mentre nei casi più gravi di reflusso in cui si associa esofagite severa si possono notare anche feci nerastre e catramose o tracce di sangue nel vomito.

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Ci sono alcune condizioni che, oltre al reflusso cronico, possono predisporre allo sviluppo di questa patologia: i maggiori fattori di rischio sono rappresentati dall’ernia iatale, dal sovrappeso, dal consumo di alcool e fumo, dal sesso (gli uomini hanno un rischio due volte superiore rispetto alle donne), dall’età avanzata e dalla familiarità.

La gravità dell'esofago di Barrett tuttavia non dipende dalla sintomatologia o dai suoi disturbi, quanto piuttosto dalla potenziale evoluzione verso l’adenocarcinoma (tumore dell'esofago), qualora non venga adeguatamente trattato.

Pertanto la prima terapia dell’esofago di Barrett, che va accertato con una endoscopia e un biopsia esofagea, deve essere mirata al controllo dei sintomi e alla guarigione dell'esofagite con farmaci antisecretivi in grado di ridurre significativamente e per lungo tempo (18-24 ore) l’acidità gastrica.

Sebbene siano molto efficaci nell'eliminare l'insulto acido ed attutire i sintomi associati alla malattia da reflusso, questi farmaci non inducono la regressione del tessuto displasico (tumorale) che può essere presente in una minoranza dei casi. Qualora il tessuto esofageo sia caratterizzato da un basso grado di displasia, può essere sufficiente il monitoraggio periodico con esami endoscopici ogni 12-36 mesi.

Viceversa, nel caso di displasia di grado elevato, può essere necessario asportare o distruggere il tessuto anomalo: a seconda dell’estensione della malattia è possibile optare o per la mucosectomia endoscopica che permette di asportare aree di natura maligna in stadio iniziale, o in caso di un maggior interessamento di malattia procedere con una rimozione totale della mucosa, evento piuttosto raro.

Se questa è la condizione, però, è possibile adottare una tecnica endoscopica innovativa ed efficace in una elevata percentuale di casi: la ablazione con radiofrequenza. Questa tecnica distrugge il tessuto displastico e induce la formazione di mucosa sana.

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