Una dieta chetogenica ipocalorica è efficace nel favorire la perdita di peso nelle persone obese. A patto però di seguire le indicazioni degli specialisti
Pochissimi carboidrati. Più proteine e (soprattutto) grassi. È questo, in estrema sintesi, il profilo della dieta chetogenica. Negli anni l’interesse nei suoi confronti è cresciuto, soprattutto in ragione della capacità di favorire una perdita di peso in tempi brevi. Ma quello che è finora rimasto poco chiaro è un altro aspetto. Può, la dieta chetogenica, rappresentare una soluzione anche per un trattamento dell’obesità basato sulla correzione delle abitudini alimentari e dello stile di vita? Sì, a patto però di seguire le indicazioni provenienti dalla comunità scientifica ed evitare il «fai-da-te».
COME QUEL CHE MANGIAMO PUÒ
RENDERCI SANI O MALATI?
LA DIETA CHETOGENICA PER CONTRASTARE L’OBESITÀ
Le nuove linee guida per il trattamento dell’obesità con una dieta chetogenica ipocalorica sono appena state pubblicate dalla Società Europea dell’Obesità. Il documento, pubblicato sulla rivista Obesity Facts, rappresenta uno strumento di lavoro per medici e nutrizionisti chiamati a trattare le persone con obesità . Ma provare a decodificarlo diventa utile anche per tutte le persone che cercano informazioni in rete o rivolgendosi agli specialisti su questo schema dietetico che promette di far perdere peso in tempi piuttosto brevi. E senza far «soffrire» la fame. Il punto di partenza degli estensori del documento - tra cui gli italiani Giovanna Muscogiuri (ricercatrice in endocrinologia dell’Università Federico II di Napoli e membro del consiglio direttivo della Società Italiana dell’Obesità), Annamaria Colao (docente dell’Università Federico II di Napoli e presidente della Società Italiana di Endocrinologia) e Luca Busetto (professore di medicina interna all’Università di Padova e presidente eletto della Società Italiana dell’Obesità) - è chiaro. La dieta chetogenica non può essere intrapresa senza la supervisione di uno specialista, a maggior ragione se dall’altra parte c’è una persona resa più fragile dall’eccessivo peso corporeo. Detto questo, rispetto agli altri schemi ipocalorici indicati più spesso ai pazienti con obesità, i vantaggi sono molteplici. «L’elevato contenuto di grassi nella dieta favorisce la sazietà e la presenza dei corpi chetonici riduce il desiderio di cibo - afferma Muscogiuri, prima autrice del documento -. A ciò occorre aggiungere che gli studi hanno finora rilevato una riduzione della sintesi degli ormoni che stimolano l’appetito. In più, tra coloro che seguono la dieta chetogenica, si registra una maggiore perdita di massa grassa rispetto a quella magra e un aumento del dispendio energetico per convertire i grassi e le proteine in glucosio».
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DIETA CHETOGENICA: DI COSA SI TRATTA?
Mentre i più comuni regimi alimentari sono costituiti da carboidrati (50 per cento), grassi (30) e proteine (20), la dieta chetogenica è basata sull’assunzione di un’alta percentuale di grassi (44 per cento dell’apporto energetico giornaliero) a scapito di carboidrati (all’incirca 30 grammi al giorno, pari al 13 per cento dell’apporto energetico giornaliero) e proteine (43 per cento). Questo regime alimentare induce una condizione metabolica nota come chetosi fisiologica. I corpi chetonici sintetizzati dal fegato - acetone, acetoacetato, D-Beta-idrossibutirrato - vengono utilizzati per «nutrire» il cervello. Quando gli zuccheri vengono ridotti a un livello troppo basso, infatti, le cellule traggono energia dai grassi. Tutte, tranne i neuroni, che hanno bisogno per l'appunto dei corpi chetonici. In genere la chetosi si raggiunge dopo aver seguito per un paio di giorni una dieta caratterizzata da un apporto giornaliero di carboidrati compreso tra 20 e 50 grammi. La chetogenica, se adottata per un periodo limitato di tempo, ha dimostrato di poter ridurre l’appetito, indurre la perdita di peso e migliorare il tono dell’umore. Ma non si tratta di un regime alimentare semplice da seguire. Basta infatti «sgarrare» anche di poco in termini di carboidrati per indurre l’organismo a bloccare la chetosi e a utilizzare di nuovo gli zuccheri come fonte energetica.
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LO SCHEMA DELLA DIETA CHETOGENICA
Gli autori del documento hanno raccolto le conclusioni di 15 articoli utili a sintetizzare le evidenze scientifiche riguardanti il potenziale di una dieta chetogenica ipocalorica nel trattamento dell’obesità. Il protocollo è costituito da tre fasi: l’attivazione, la rieducazione e il mantenimento. La prima, a sua volta suddivisa in tre step, prevede un basso apporto di energia (600-800 chilocalorie al giorno) e una durata compresa tra 8 e 12 settimane. In questo periodo ci si attende la perdita più significativa del peso in eccesso (70-80 per cento). Quattro o cinque i pasti al giorno da consumare: prevalentemente a base di alimenti ricchi di proteine e con vegetali a basso indice glicemico. In questa fase può essere raccomandata l’integrazione della dieta (vitamine, minerali, sodio, magnesio, calcio e acidi grassi omega 3): eventualmente anche con miscele di amminoacidi. La varietà della dieta viene poco alla volta recuperata durante la rieducazione: un programma mirato a favorire il mantenimento del nuovo peso corporeo nel tempo. I carboidrati possono essere gradualmente riportati al centro della tavola: prima la frutta e i formaggi, poi i legumi, infine il pane, la pasta e gli altri cereali. Progressivamente cresce anche l’apporto energetico giornaliero: fino a 1.500 chilocalorie al giorno. L’ultimo step, il mantenimento, prevede un ulteriore aumento nell’introito energetico (fino a 2.000 chilocalorie). Obbiettivo: favorire la gestione del peso corporeo nel tempo, anche grazie alla graduale introduzione dell’attività fisica.
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COME GESTIRE I POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI
Oltre a favorire la perdita dei chili in eccesso, la dieta chetogenica è in grado di determinare un miglioramento del profilo metabolico: attraverso la riduzione dell’ipertensione, dell’ipercolesterolemia e della resistenza all’insulina. Ciò non toglie, però, che chi la segue possa andare incontro ad alcuni effetti collaterali. La lista annovera l’alitosi, la disidratazione, l’ipoglicemia, i disturbi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea, costipazione) e l’iperuricemia. Molto meno di frequente si possono registrare invece le formazioni di calcoli renali e biliari, la perdita di massa ossea e dei capelli. Condizioni comunque gestibili se la dieta chetogenica viene seguita sotto lo stretto monitoraggio di un nutrizionista, in grado di indicare gli accorgimenti giusti per ridurne al minimo l’impatto sulla qualità della vita. In corso di trattamento, per esempio, si raccomanda di bere almeno due litri di acqua al giorno (per prevenire la formazione di calcoli renali), di incrementare fino a tre grammi al giorno il consumo di sale (in assenza di condizioni quali l’ipertensione, l’insufficienza renale cronica e lo scompenso cardiaco), di ricorrere a bevande con zuccheri semplici (nel caso in cui la glicemia risulti inferiore a 40) o a chewing-gum o caramelle senza zucchero (per gestire l’alitosi) e di preferire pasti piccoli e frequenti (nel caso in cui compaiano sintomi gastrointestinali). Un’attenzione particolare va infine posta nei confronti di quei pazienti che hanno sofferto di gotta, onde evitare il rischio di una riacutizzazione del problema.
UNO STILE DI VITA ATTIVO PER AVERE RISULTATI DURATURI
Fatte queste considerazioni, oggi ci sono gli elementi per considerare «una dieta chetogenica ipocalorica la strategia giusta per favorire la perdita di peso in pazienti con un’obesità severa (con indice di massa corporea superiore a 40, ndr), con malattie articolari, cardiovascolari e metaboliche o in attesa di sottoporsi a un intervento di chirurgia bariatrica - conclude Muscogiuri, appena premiata dalla Società Europea dell'Obesità con il New Investigator Clinical Award -. L’importante, oltre alla supervisione di tutti i casi, è la personalizzazione del trattamento anche sulla base di quelle che sono le preferenze dei pazienti». Una volta raggiunto l’obbiettivo, il segreto per mantenere il risultato è riconosciuto nell’adozione di uno stile di vita attivo. Il supporto nutrizionale e l’incremento dell’attività fisica rappresentano le chiavi per non tornare a fare i conti con i chili di troppo.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).