Una rassegna pubblicata sul «British Medical Journal» pone in discussione le ricadute dei livelli di colesterolo (in particolare Ldl) sulla salute cardiovascolare. Ma gli esperti invitano a non eccedere con il consumo di grassi di origine animale
Grassi saturi, colesterolo «cattivo», malattie cardiovascolari: negli ultimi anni il legame tra questi tre elementi sembrava non essere più in discussione. Una dieta ricca dei primi aumenta i livelli della molecola di grasso (colesterolo Ldl), considerata la base per lo sviluppo dell’aterosclerosi e dunque un attendibile «termometro» per valutare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (prima causa di morte la mondo): principalmente infarto del miocardio e ictus. Ma se il passaggio dal primo al secondo step è unanimemente condiviso, a essere messo in dubbio - in una ricerca pubblicata sul British Medical Journal - è il rapporto tra causa ed effetto che porrebbe a più alto rischio il cuore dei forti consumatori di grassi saturi.
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UNA RASSEGNA RIAPRE IL DIBATTITO
Dalle conclusioni s’evince che non ci sarebbe una differenza rilevante nel rischio di ammalarsi tra chi consuma alimenti ricchi di grassi saturi (soprattutto quelli di origine animale o i prodotti lavorati a livello industriale) e chi predilige gli oli vegetali. Per riprendere in esame il rapporto tra la dieta e la salute del cuore, un gruppo di dieci ricercatori internazionali ha rivalutato gli esiti di uno studio condotto nel Minnesota tra il 1968 e il 1973: 9.500 le persone arruolate - di età compresa tra 20 e 97 anni, tutte ricoverate in ospedali psichiatrici statali o in una casa di cura del Minnesota - e valutate in doppio cieco per verificare se la sostituzione dei grassi saturi (all’epoca burro e margarina erano considerati alimenti consumabili ogni giorno dal governo statunitense) con un olio vegetale ricco di acido linoleico (un omega 6 abbondante nell’olio di girasole, di cartamo, di mais e di soia) riducesse l’insorgenza delle malattie coronariche (prevenzione primaria e secondaria), cerebrovascolari, i tassi di mortalità e il numero di infarti e ictus rilevati nei pazienti deceduti (nel corso dell’autopsia). Gli studiosi (a capo del gruppo gli Istituti Nazionale della Salute e l’Università della Carolina) hanno recuperato questi dati, pubblicati nel 1989 sulla rivista Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology e integrati con i risultati di successive pubblicazioni. Più che di un nuovo studio, è dunque corretto parlare di una rassegna.
LA RICERCA
I partecipanti, osservati per quattro anni e mezzo (in media), furono assegnati in modo casuale a una dieta basata sulla sostituzione dei grassi saturi con olio di mais o a un gruppo di controllo che consumava pasti a elevato contenuto di grassi saturi da animali. L’esperimento condotto quarant’anni addietro, è la rilettura effettuata oggi dai ricercatori statunitensi, determinò una riduzione dei livelli di colesterolo Ldl circolante nel sangue dei pazienti trattati (rispetto al cosiddetto gruppo di controllo), ma non un miglioramento della sopravvivenza. Anzi: «I partecipanti che hanno avuto una maggiore riduzione del colesterolo mostravano un rischio di morte più elevato», afferma Cristopher Ramsen, ricercatore del National Institute of Health e prima firma della pubblicazione.
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CONCLUSIONI DESTINATE A FAR DISCUTERE
Una conclusione destinata a far discutere, visti i benefici a più riprese sottolineati negli ultimi anni riguardanti gli acidi grassi polinsaturi e gli alimenti che li contengono: la frutta secca, i semi oleosi, il pesce, il latte materno e l’olio extravergine di oliva. Più prudente è stato infatti Lennert Veerman, epidemiologo e docente di salute pubblica all’Università del Queensland di Brisbane, in un editoriale di accompagnamento pubblicato sulla rivista: «I benefici legati al consumo degli acidi grassi polinsaturi appaiono oggi meno certi rispetto al passato. Le raccomandazioni nutrizionali dovrebbero essere basate sugli esiti clinici e non derivare dalle concentrazioni di colesterolo nel plasma».
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SI TORNA A DISCUTERE DEI GRASSI
Sebbene uno dei principali limiti del lavoro sia la mancanza di dati relativi alle cause di decesso, il confronto tra le diverse tipologie di grassi risulta riaperto già da diversi anni. Una metanalisi pubblicata ad agosto sempre sul British Medical Journal (incrociando i risultati di cinquanta studi osservazionali) ha "assolto" gli acidi grassi saturi dall'accusa di essere associati a un aumentato rischio di morte o di insorgenza di malattie cardiache, ictus e diabete di tipo 2. Mentre un lavoro apparso a gennaio sull’American Journal of Clinical Nutrition, realizzato elaborando le informazioni raccolte in Olanda nell’ambito del progetto Epic, ha evidenziato come pur a fronte di robusti consumi di latte, burro e formaggi tra gli abitanti dei Paesi Bassi il rischio di incorrere in una cardiopatia ischemica sia piuttosto basso.
Ma secondo Walter Willett, direttore del dipartimento di nutrizione dell’università di Harvard, «si tratta di evidenze che non modificheranno le attuali raccomandazioni dietetiche. L’ultima pubblicazione non è in grado di scalfire le certezze costruite in cinquant’anni. Dal 1960 a oggi, grazie alla progressiva sostituzione dei grassi saturi con quelli insaturi, compresi gli omega 3 che nello studio non sono nemmeno considerati, la mortalità per malattie cardiovascolari negli Stati Uniti è calata del sessanta per cento. La durata della ricerca è inoltre insufficiente a trarre conclusioni definitive sul rapporto tra la dieta e i meccanismi alla base dell’aterosclerosi».
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COSI’ IL COLESTEROLO RESTRINGE I VASI SANGUIGNI
Parere che trova d’accordo Michele Gulizia, direttore della unità di cardiologia dell’azienda ospedaliera “Garibaldi-Nesima” di Catania e presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco). «Non si possono mettere in discussione le differenze tra i grassi saturi e quelli polinsaturi. I primi, una volta degradati, si trasformano quasi interamente aumentano i livelli di colesterolo Ldl: “sporcano” le arterie e finiscono per ridurne il lume, ostacolando l’afflusso di sangue.
I secondi hanno un effetto lubrificante e aiutano a rimuovere anche i depositi di colesterolo cattivo». Una metafora utile per spiegare come mai l’eccessivo consumo di acidi grassi saturi - gli esperti raccomandano di non trarre da qui energia superiore al dieci per cento del fabbisogno quotidiano - sia correlato a una maggiore probabilità di sviluppare eventi cardio (infarto) e cerebrovascolari (ictus). Come comportarsi allora in attesa di nuove evidenze? Il consiglio è di seguire una dieta in cui abbondino verdure, frutti interi, cereali integrali, pesce, legumi e noci.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).