Tecnologie digitali e screening genetico neonatale per diagnosticare con più precisione e più in fretta le malattie genetiche rare: è il progetto pilota Screen4care
Identificare malattie genetiche rare nei neonati per migliorare la qualità di vita in età pediatrica. L’obiettivo di Screen4Care, un progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea e da EFPIA, la federazione europea delle industrie farmaceutiche, e con ben 37 partner, incluse Università e industrie, è dunque quello di identificare precocemente e prevenire malattie rare attraverso lo screening genetico dei neonati. Si parte dalla considerazione che, secondo la rete Orphanet Italia, nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni, il 72% di queste malattie hanno una causa genetica e il 70% dei pazienti sono bambini. Lo screening neonatale genetico, progetto pilota in Europa, si estenderà dunque a un numero molto ampio di malattie rare e su circa 20.000 neonati, grazie anche al supporto imprescindibile di tecnologie digitali e nuovi algoritmi utili all’identificazione precoce di malattie rare.
CHE COS’È UNO SCREENING NEONATALE
«Si tratta di un’indagine a tappeto su tutti i neonati», spiega la professoressa Alessandra Renieri, ordinario di Genetica Medica presso l'Università di Siena, che partecipa al progetto “Screen4Care”, «che consiste in un semplice test non invasivo (un esame che si esegue su una piccola quantità di sangue del neonato) in grado di identificare, entro i primi giorni di vita, numerose malattie, anche gravissime. Lo screening neonatale è, dunque di fatto, un programma di medicina preventiva che ha permesso, nel corso del tempo, di implementare sempre più il numero delle patologie identificate. Ciò è stato possibile, sia grazie alle nuove conoscenze nell’ambito della genetica, sia grazie all’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate per la diagnosi: tecnologie genomiche avanzate e intelligenza artificiale. E anche per merito dei progressi delle terapie mediche, utili o a curare malattie un tempo senza alcuna possibilità terapeutica, oppure in grado di migliorare la qualità di vita del bambino. I test di screening che, oltre ad essere obbligatori, costituiscono un diritto per tutti i neonati, vengono eseguiti presso il centro nascita prima che il bambino lasci l’ospedale: in Italia, per legge, fra le 48 e le 72 ore di vita. Attualmente con lo screening neonatale in atto nel nostro Paese si ricerca la possibile presenza di 49 diverse malattie. L'obiettivo di “Screen4care” sarà è identificare altre patologie genetiche rare».
UNA STORIA CHE PARTE DA LONTANO
La storia dello screening neonatale parte da lontano e, più precisamente, dagli anni Sessanta, quando il microbiologo americano, Robert Guthrie (1916–1995) effettuò il primo screening sulla fenilchetonuria (malattia genetica che impedisce all’organismo di smaltire una proteina presente in alcuni alimenti), utilizzando gocce di sangue prelevato dal tallone di un neonato. Il test veniva effettuato il secondo giorno di vita, su una particolare carta assorbente che, non a caso, si chiama proprio, Guthrie Card. In Italia, lo screening neonatale fu introdotto negli anni Novanta, grazie all’articolo 6 della legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). Venivano allora identificate tre malattie: ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria. Questi screening sono stati poi regolamentati dal DPCM 9 luglio 1999 "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano in materia di accertamenti utili alla diagnosi precoce delle malformazioni e di obbligatorietà del controllo per l’individuazione ed il tempestivo trattamento dell’ipotiroidismo congenito, della fenilchetonuria e della fibrosi cistica”. È stato un percorso in costante e continuo itinere e che, via via, ha implementato il numero delle malattie da identificare. La Legge di bilancio 2019 (art.1 c.544), che ha modificato la Legge 167/2016 (e le precedenti), ha non solo esteso lo screening alle malattie neuromuscolari genetiche, alle immunodeficienze congenite severe e alle malattie da accumulo lisosomiale; ma ha anche messo l’accento su un punto fondamentale: la necessità di una revisione periodica, almeno biennale, della lista delle malattie da ricercare attraverso lo screening neonatale.
NECESSARIO ESSERE AGGIORNATI E STARE AL PASSO CON LA RICERCA
«L’obiettivo è dunque quello», commenta Renieri, «di stare al passo con l’evoluzione delle evidenze scientifiche per intervenire concretamente qualora si evidenzi la positività a una specifica malattia. Un esempio? L’atrofia muscolare spinale (SMA), una malattia genetica rara causata da una mutazione di un gene (SMN1). Essendo a conoscenza, grazie allo screening, della presenza di questa mutazione si può intervenire prima che si manifesti la malattia grave, tramite la terapia genica. La somministrazione one shot (in una unica soluzione) per via endovenosa di Zolgensma (terapia genica basata su un vettore virale che agisce sulla causa genetica della malattia) può modificare totalmente la prognosi di quel neonato, al momento totalmente asintomatico, ma che sarebbe certamente andato incontro a una patologia molto seria».
“SCREEN4CARE”, IL PRESENTE E IL FUTURO PROSSIMO
Il progetto è stato avviato nell’ottobre 2021 e lo screening genetico neonatale pilota inizierà nel 2024. I centri già selezionati sono Ferrara (Azienda Ospedaliera Universitaria), Roma (Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che è anche partner del progetto e hub di sequenziamento) e l’Università di Friburgo in Germania. Altri siti per lo screening sono, invece, in via di definizione. «Si tratta di uno screening - precisa Renieri - non dell’intero Genoma, ossia l'insieme del patrimonio genetico che caratterizza ogni organismo vivente; ma della ricerca di specifici geni ‘target’ cioè selezionati, e solo in quelli. L’accuratezza diagnostica è in questo caso infatti molto mirata ed elevata e con un altro grado di specificità».
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Fonti
Paola Scaccabarozzi
Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.