In occasione della Settimana mondiale della tiroide, un appello alle donne in gravidanza: il giusto apporto di iodio prima e dopo la nascita del bambino protegge anche lo sviluppo cerebrale
Poco sale, ma iodato. Il messaggio non cambia, ma ripeterlo non stanca mai in occasione della settimana mondiale della tiroide: in programma dal 21 al 27 maggio.
Lo iodio è alla base della sintesi degli ormoni tiroidei: indispensabili per la crescita corretta dell’organismo e per il buon funzionamento del metabolismo.
Ma siccome non siamo in grado di produrlo, dobbiamo acquisirlo attraverso la dieta: con il sale indicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come il veicolo più efficace per assolvere questo compito.
L'esigenza è sentita soprattutto dalle donne in gravidanza e nel corso dell'infanzia: la carenza di iodio è infatti un ostacolo allo sviluppo cerebrale dei bambini.
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«Anche una carenza iodica di grado moderato può portare a una riduzione di 10-15 punti di quoziente intellettivo del bambino», avverte Ivana Rabbone, specialista del centro di diabetologia pediatrica dell'ospedale infantile Regina Margherita di Torino e viepresidente della Società Italiana di Endocrinologia e diabetologia Pediatrica (Siedp).
Un messaggio forte, ma necessario, dal momento che non è trascurabile la quota di mamme ancora poco consapevoli delle conseguenze che il basso livello di iodio può avere sulla salute loro (in gravidanza e nel corso dell'allattamento) e dei loro bambini. Ma quali sono i valori da rispettare? Se l'introito giornaliero di iodio nell'adulto deve essere pari almeno a 150 microgrammi, si deve arrivare 250 microgrammi di iodio in gravidanza e a 290 microgrammi in allattamento.
L'aumento dei dosaggi è dovuto alla necessità di fornire una quantità sufficiente di iodio tanto a se stesse quanto al proprio figlio: prima attraverso la placenta, poi per mezzo del latte materno. Al di sotto di questi limiti, un bambino può andare incontro a deficit cognitivi o al gozzo tiroideo, che oggi è però molto meno frequente alle nostre latitudini.
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QUANTO IODIO ASSUMONO GLI ITALIANI?
Il dato emerge dall'indagine dell’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia (Osnami) con cui l'Istituto Superiore della Sanità fa ogni anno il punto sull'incidenza delle malattie tiroidee. La sufficienza nell'apporto di iodio è raggiunta in diverse regioni italiane: Liguria, Toscana, Marche, Lazio e alcune aree della Sicilia. Mentre il gozzo è praticamente un ricordo in Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia. Merito anche delle campagne finora condotte per incentivare un consumo moderato di sale, ma iodato. «A tredici anni dall’approvazione della legge 55/2005 che ha introdotto il programma nazionale di iodoprofilassi, secondo cui è prevista la vendita obbligatoria del sale iodato in tutti i punti vendita e l’utilizzo del sale iodato nella ristorazione collettiva e nell’industria alimentare, lo stato nutrizionale iodico degli italiani è migliorato - afferma Antonella Olivieri, responsabile dell'Osservatorio -. Ma non dobbiamo fermarci: l'obiettivo adesso è ridurre il numero di persone affette da una carenza iodica».
LO IODIO A TAVOLA
Ogni grammo di sale arricchito di iodio - vale comunque per tutti la raccomandazione di non superare i cinque grammi di sale al giorno, soltanto le donne in gravidanza possono consumarne un po' di più, per garantire il giusto apporto di iodio anche al nascituro - apporta trenta microgrammi di iodio in più: dunque, nel caso di un individuo adulto, circa un quinto di quello che occorre assumere ogni giorno. Vale comunque la pena di ribadire che lo iodio può essere assunto anche attraverso altri alimenti: aglio, fagioli, bietole, zucchine bianche, fagioli normali e di soia, tutte le alghe, le uova, i prodotti lattiero-caseari, i cereali e la carne.
La quantità assunta con gli alimenti non è sufficiente a garantire un adeguato apporto giornaliero. Ma è giusto sapere che, con una dieta bilanciata, si può eventualmente anche ridurre il consumo di sale iodato.
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LE DONNE IN GRAVIDANZA SONO PIU' ATTENTE
Dal rapporto è emerso un altro dato incoraggiante che riguarda i livelli di Tsh neonatale. Il Tsh è un ormone prodotto dall'ipofisi per stimolare l'attività della tiroide e viene utilizzato nelle prime fasi della vita per valutare l'assenza di una condizione nota come ipotiroidismo congenito, più probabile se la mamma ha affrontato la gravidanza con uno stato nutrizionale iodico insufficiente.
Il trend s'è ridotto del dieci per cento in due anni: un altro indicatore di come le campagne di prevenzione abbiano raggiunto il bersaglio.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).